Rap italiano

1989 si racconta in “Euphoria – il problema sono io” – Intervista

L’alternative rap di 1989 è tornato con il nuovo album “Euphoria – il problema sono io” a meno di un anno dal precedente “Gente che odia la gente”, con tredici tracce che sono il naturale proseguimento e la necessaria evoluzione del suo percorso artistico.

Se il precedente faceva leva sulla critica verso “la gente” e il “progresso”, il nuovo lavoro cerca -con le rime del rap e un flow serrato– quel posto nel mondo tanto criticato. Il linguaggio è quello dell’alternative rap, ma il vestito torna ad essere un raffinato connubio di musica suonata, cantautorato urbano e conscious pop.
Grazie alla co-produzione di The Monkey e Manuel Parisella, “Euphoria – Il problema sono io” mescola synth analogicistrumenti suonati, creando un equilibrio maturo, tra sonorità urban e arrangiamenti più classiciSuite electro e momenti più ritmati convivono con fiati e tastierechitarrebatteria e pianoforte. Sperimentale da un lato, melodico e fruibile dall’altro.

Euphòria – Il problema sono io. Come mai questo titolo?

“Euphòria” è una parola che mi è sempre piaciuta tantissimo, foneticamente parlando, e ho
pensato che in effetti fosse anche in sintonia un po’ con le musiche e gli argomenti del disco.
Suonava bene, insomma. C’è vicino “Il problema sono io”, perchè il disco originariamente
doveva chiamarsi solo “Il problema sono io”; questa è una delle tante frasi che mi ritrovo a
ripetermi in testa tutte quelle volte che una situazione di vita inizia a farsi complessa e intricata:
“il problema sono io che penso troppo” “il problema sono io che mi faccio troppe pippe mentali”
“il problema sono io perchè sono così” “il problema sono io perchè sono cosà”

Nello specifico a quali problemi ti riferisci? Di cosa ti incolpi?

Un elenco lunghissimo: sono troppo buono, sono troppo cattivo, sono troppo empatico, sono
poco empatico, non credo abbastanza in me stesso, sono troppo focalizzato su me stesso e mi
amo troppo, mi odio, mi faccio troppe paranoie sulle cose e sulle persone. Ora, non voglio
trasformare quest’intervista in una seduta di psicoanalisi, ma è giusto per dire che noi tutti,
quotidianamente, affrontiamo questi e mille altri lati di noi stessi che non ci vanno a genio, ma
che vuoi o non vuoi tocca accettare e conviverci, con tutte le loro contraddizioni del caso.

Il disco è idealmente diviso in due parti. Ci racconti della differenza di tematiche che tratti e
dei suoni?

La prima parte è musicalmente molto elettronica, con una bella preponderanza di synth e ritmi
veloci. Tematicamente invece riprendo un po’ il filo con gli argomenti del disco precedente: il mio
rapporto con il mondo che mi circonda, e le sue contraddizioni. Forse queste tracce sono
esattamente le risposte ai problemi della società posti nel precedente album, le mie modalità
per restare a galla. La prima e la seconda parte dell’album sono nettamente divise da un
interludio di chitarra acustica suonato da Simone Sambucci; mi piaceva l’idea di mettere questo
intermezzo totalmente scollegato musicalmente dagli altri pezzi, proprio per creare la
sensazione di stacco tra i due tempi del disco. L’interludio suona su un tema musicale che è
ripreso anche in altri pezzi del disco: “La società”, “Una vita di merda” e “Grazie”. La seconda
parte, invece, è caratterizzata da una preponderanza del pianoforte, e da tematiche molto
intime, molto personali. È probabilmente la prima volta che mi metto così a nudo in dei testi.

Come sei cambiato umanamente rispetto a Gente che odia la gente?

Rispetto all’uscita forse non moltissimo, in quanto è uscito un anno fa. Ricordo però a chi non lo
sa che “Euphòria” ho iniziato a scriverlo nel 2018-2019, quindi un secolo fa, praticamente.
Umanamente da allora sono cambiato moltissimo, la mia vita è cambiata moltissimo, e il mio
approccio ad essa pure. Sono un po’ più mesto, un po’ più disilluso. Credo che a cavallo tra i 30
anni, e subito dopo di essi, succedano delle mutazioni dentro di noi indimenticabili e cruciali.
Dobbiamo però cercare di capire cosa ci sta succedendo, senza spaventarci, e cercare di trarre
il meglio da questa trasformazione.

E artisticamente?

Ancora devo capirlo bene. Vi confesso che non scrivo canzoni nuove veramente da un botto. I
pezzi di “Euphòria” erano già quasi tutti scritti, ho solo riscritto alcune parti, alcune strofe, e
qualche pezzo del disco sì, l’ho scritto da zero quest’anno. Però se devo parlarvi proprio di
nuovi progetti artistici e di quanto sia mutato musicalmente nell’ultimo anno, posso dirvi poco.
Appena concluso il grosso della promozione di questo disco, voglio prendermi del tempo
appunto per mettermi a tavolino e avviare una nuova produzione. A livello di “carriera”, diciamo,
posso dirvi però che nell’ultimo anno le cose vanno molto meglio: “Gente che odia la gente” è
girato abbastanza bene, e mi ha aiutato a far conoscere un po’ il mio nome.

Come definiresti lo stile di rap che hai voluto proporre in questo disco?

Alternative rap. Una commistione di tutte le cose che ascoltiamo e da cui ci siamo lasciati
ispirare io e The Monkey: rap, elettronica, soul, spoken word.

Come mai questo disco arriva così vicino al disco dello scorso anno? Stai già pensando al
prossimo?

Perchè questo disco è stato realizzato grazie ai fondi della vittoria del bando “PerChiCrea”
istituito da Siae e dal MiC, il quale prevedeva che per l’erogazione del finanziamento il disco
uscisse entro quest’anno. La notizia della vittoria del bando ci è arrivata a novembre 2023,
ovvero quando era praticamente appena uscito “Gente che odia la gente”. Per fortuna avevo già
pronti appunto i pezzi di “Euphòria”, sennò mi sarei ritrovato a dover scrivere un disco da zero in
pochi mesi.
Per il prossimo disco, invece, come vi dicevo al momento devo ancora riorganizzare le idee.

Hai scelto pochi featuring e tutti di natura musicale. Quali sono le motivazioni di questa
scelta?

Non è stata una scelta troppo pensata. Quando ho lavorato ai pezzi mi sono ritrovato a scrivere
io praticamente tutti i testi. Quando poi ho ripreso il progetto “Euphòria” a inizio 2024 ho anche
pensato a mettere qualche featuring, ma occorreva trovare le persone giuste, vedere la loro
disponibilità, e soprattutto farlo in tempi ahimè molto stretti. Quindi alla fine ho deciso di lasciare
praticamente solo la mia voce (oltre a quella di Mia Simeoni che mi accompagna nel ritornello di
“You put a spell on me”), e di far lavorare a delle belle parti suonate, soliste, alcuni miei amici
musicisti.

Cosa ti auspichi per questo progetto e quanto sarà importante per te portarlo dal vivo?

Importantissimo. Sinceramente è la prima volta che mi capita di poter portare in tour un mio
disco, tra l’altro in alcuni club nei quali è da un po’ che mi farebbe piacere portare un mio show.
Spero che la gente risponderà bene sia ai live, che all’ascolto dell’album. D’altronde, penso che
la vera riuscita di un disco si veda dopo diversi mesi, se non anni. Ricordo di aver visto
un’intervista di Tyler, The Creator che si lamentava dei musicisti di oggi che fanno uscire un
disco, fanno un paio di storie, e poi è finita lì, quando lui un anno dopo era ancora a promuovere
il suo ultimo disco. Ecco, la mia promozione è appena cominciata, è andrà avanti per tutto il
2025 probabilmente.

Voltandoti indietro credi di aver consegnato al tuo pubblico esattamente il disco che avresti
voluto?

Come al solito, sono quasi totalmente soddisfatto, ma mai del tutto. Sono iper-perfezionista
quando si tratta della mia musica, e penso sempre che c’è qualcosa che poteva essere fatta
meglio. Non so se sarà sempre così, o se un giorno farò un disco di cui sarò completamente
soddisfatto. Sento però di aver fatto un disco più maturo, più compatto, e probabilmente anche
più fruibile rispetto al precedente. Mi piace ascoltare “Euphòria”, e questo per me va già benissimo.

Federico

Steek nasce in un piccolo paesino della Sardegna negli ’80 per poi emigrare con la valigia di cartone e una sfilza di dischi hip-hop nella capitale. Durante la seconda metà degli anni ’90 viene folgorato dalla cultura hip hop in tutte le sue forme e discipline, dapprima conoscendo il rap Made in USA, arrivando poi ad appassionarsi al rap Made in Italy grazie ad artisti storici, quali: Assalti Frontali, Otr, Colle der fomento, Sangue Misto e molti altri. Fondatore della page “Il Rappuso” che lo porta a collaborare con tutta la scena rap underground italiana, mette la sua voce e la sua esperienza al servizio di LOWER GROUND con la trasmissione che prende il nome dalla sua creatura “IL RAPPUSO”.

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