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AI : entra in vigore la legge AI in Italia – cosa cambia per la musica generata da intelligenza artificiale

AI (Artificial Intelligence) e musica. Dal 10 ottobre 2025 l’Italia entra ufficialmente in una nuova era giuridica. È il giorno in cui entra in vigore la Legge n. 132/2025, la prima legge nazionale interamente dedicata all’intelligenza artificiale. Un testo che, dopo mesi di dibattito, mette nero su bianco un principio chiave: un’opera creata con l’assistenza dell’IA può essere considerata protetta dal diritto d’autore solo se incorpora un apporto umano sostanziale.

Un criterio che sembra tecnico, ma che in realtà tocca il cuore di tutto ciò che chiamiamo creatività.
E per il mondo della musica – già scosso da milioni di brani generati in automatico e caricati su Spotify – questa norma arriva come un segnale forte, quasi simbolico.

La legge italiana sull’intelligenza artificiale (AI): cosa cambia davvero

La Legge 132/2025, approvata dal Senato a settembre e pubblicata in Gazzetta il 25 dello stesso mese, è una sorta di cornice generale per gestire le sfide e i rischi dell’IA in Italia.
Il testo si allinea in parte con l’AI Act europeo, ma introduce anche principi propri: trasparenza, responsabilità, e soprattutto il riconoscimento della centralità dell’essere umano nei processi creativi.

Il punto che ha fatto più discutere è proprio quello relativo al diritto d’autore.
Fino a oggi, non c’era una regola chiara: se una canzone, un beat o un’immagine era realizzata interamente da un software generativo, si entrava in una zona grigia. Con la nuova legge, invece, lo Stato stabilisce che solo l’opera in cui l’intervento umano è sostanziale può essere considerata un’opera dell’ingegno e, quindi, tutelata.
Non basta premere un tasto o scrivere un prompt: serve una vera partecipazione creativa, riconoscibile e documentabile.

È una linea di confine che molti produttori dovranno imparare a rispettare, soprattutto chi usa strumenti come Suno, Udio, Mubert o Boomy per creare musica. Se l’intervento umano si limita a selezionare lo stile o a generare più versioni finché ne esce una “bella”, la legge potrebbe non considerarlo un atto creativo nel senso pieno del termine.

La stessa norma interviene anche sul fronte tecnico e penale: introduce sanzioni per chi utilizza l’IA per creare o diffondere deepfake, contenuti manipolati o falsificati, incluse voci e immagini di persone reali senza consenso. In pratica, se un brano clona la voce di un artista noto – anche solo per “sperimentare” – rischia di diventare un caso giuridico.

Text & Data Mining: la libertà (limitata) dei modelli di AI

Un altro aspetto interessante della legge è l’estensione delle eccezioni sul cosiddetto Text & Data Mining (TDM), ovvero l’attività di analisi automatica di testi, immagini o suoni per “insegnare” qualcosa a un modello di AI.
L’Italia riconosce il valore della ricerca e dello sviluppo tecnologico, ma introduce paletti: il TDM sarà consentito solo per finalità legittime e nel rispetto delle licenze d’uso.
Chi addestra un modello su opere protette senza autorizzazione – ad esempio utilizzando un catalogo musicale o testi letterari coperti da copyright – potrà incorrere in sanzioni specifiche.
È una risposta chiara alle accuse che, negli ultimi mesi, hanno investito colossi come Suno, Udio e persino Anthropic, accusati da vari editori di aver “rubato” materiale protetto per addestrare le proprie AI.

Spotify si muove: etichette obbligatorie e guerra agli abusi

Mentre la legge italiana si prepara a entrare in vigore, Spotify ha anticipato i tempi.
Il 25 settembre la piattaforma ha annunciato una serie di misure contro la musica generata da IA, destinate a cambiare il modo in cui vengono caricati e riconosciuti i brani digitali.

Da ora in poi, ogni traccia che contenga parti create con l’intelligenza artificiale dovrà essere dichiarata nei crediti attraverso lo standard DDEX: sarà quindi visibile se un brano usa voci sintetiche, strumenti generati o altre componenti artificiali.
Spotify ha anche introdotto divieti espliciti contro l’impersonificazione vocale – cioè l’uso di voci clonate o imitate senza consenso – e un sistema di filtraggio automatico per bloccare le cosiddette “spam tracks”, i caricamenti di massa realizzati con software generativi per gonfiare artificialmente le royalties.

Il dato impressionante è che, nel solo ultimo anno, la piattaforma ha rimosso oltre 75 milioni di brani classificati come “spam” o sospetti di provenienza AI. Una cifra che mostra quanto l’ecosistema musicale sia stato invaso da contenuti automatizzati, spesso di bassa qualità o addirittura identici fra loro.
La nuova politica è chiara: chi pubblica contenuti senza rispettare le regole rischia la rimozione immediata e la perdita dei ricavi.

Spotify, in questo senso, si sta muovendo quasi come un legislatore privato: stabilisce cosa è accettabile e cosa no, cercando un equilibrio tra libertà creativa e tutela degli artisti reali. È un passo importante, che dialoga direttamente con lo spirito della legge italiana: più trasparenza, più responsabilità e meno “selvaggio West” digitale.

Creatività ibrida: il futuro della musica è (ancora) umano

Il punto d’incontro fra la Legge 132 e le nuove policy di Spotify è la stessa domanda: quanto deve esserci di umano in un’opera per poterla chiamare arte?
La risposta, oggi, sembra spostarsi dal piano tecnico a quello etico e culturale.
Nessuno vuole fermare l’innovazione: la maggior parte dei produttori usa l’AI come strumento di supporto, non come sostituto. Ma la legge e le piattaforme stanno iniziando a chiedere chiarezza, autenticità, trasparenza.

Per chi lavora nella musica, questo significa imparare a documentare il proprio apporto creativo: registrare sessioni, conservare bozze, rendere tracciabile il processo. In futuro, tutto ciò potrebbe diventare parte integrante della tutela legale di un brano.
E per il pubblico, potrebbe aprirsi una nuova consapevolezza: sapere se una canzone è “umana”, “ibrida” o “completamente sintetica” diventerà parte dell’esperienza d’ascolto.

Conclusione: la linea d’ombra della musica digitale

La coincidenza è quasi poetica: mentre una legge statale entra in vigore per affermare il valore dell’intelletto umano, una delle più grandi piattaforme al mondo impone nuove regole per difendere la stessa idea.
Da domani, in Italia, il confine tra arte e algoritmo non sarà più invisibile.

Chi crea musica con l’AI dovrà dimostrare di esserci davvero dietro, di avere un’idea, un gesto, un tocco umano.
Chi invece affida tutto alla macchina, rischia di restare fuori — dalla legge, dalle piattaforme, e forse anche dalla storia della musica.

Selene Luna Grandi

Italian journalist, creative and public relator. I moved to London in 2015 after several years of experience as war correspondent for some Italian Newspapers. I write, promote and I'm involved in projects about Medicine, Health, Urban cultures, Environment.

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