Interviste

Air Hagon – Il fuoco dentro non si spegne mai

Air Hagon , classe 2001, originario di Monza, ha trovato nel rap non solo un mezzo espressivo, ma una vera forma di riscatto. Dai corridoi di scuola, dove il freestyle lo ha aiutato a rompere il muro dell’emarginazione, fino a YouTube con il primo singolo a soli 15 anni, Air Hagon ha sempre avuto una cosa chiara: trasformare le ferite in energia. Oggi torna con “Fuego”, il suo terzo EP, che segna un punto di svolta nella sua evoluzione artistica e personale. L’abbiamo intervistato per farci raccontare cosa brucia ancora dentro di lui.

“Fuego” è il tuo terzo EP: cosa rappresenta per te questo titolo Air Hagon? Che tipo di fuoco hai dentro oggi, rispetto ai tuoi primi progetti?

Il titolo “Fuego” per me rappresenta chi mi vuole bene, chi mi vuole male, le cose belle e le cose brutte, per me è tutto un fuoco, una fonte di energia. Non posso deludere chi mi vuole bene, non posso non zittire chi mi vuole male.

Oggi il mio fuoco interiore è ancora più forte di prima, non posso buttare via tutto il sudore e il tempo che ho messo in tutto questo. Se guardo il passato so gli errori che ho fatto e mi hanno insegnato tanto, ora però è il momento di mettere in pratica ciò che ho imparato.

Air Hagon come mai la scelta di un EP piuttosto che un disco?

Questo EP è solo l’impasto della torta che sto preparando, e vorrei che il mio primo vero disco sia la ciliegina sopra. La torta non è ancora pronta e nemmeno io. Ora voglio solo concentrarmi a fare musica e divertirmi. Se penso troppo lo sento poi nelle tracce che non c’è naturalezza. Il disco verrà da sé.

Emarginazione e riscatto attraverso il freestyle: Air Hagon credi che il rap oggi abbia ancora questo potere sociale, o si è un po’ perso per strada?

Si è un po’ perso per strada a parer mio. Ho ventitré anni ma sono quasi tredici che rappo. Dagli undici ai diciotto anni, quando uscivo con gli amici a fare freestyle in centro a Como, intorno a noi si formavano cerchie enormi di gente e andavamo avanti per ore.

Ai tempi se eri forte la gente aveva poco da dire: ti propsavano tutti, venivano a stringerti la mano e farti i complimenti. Ora non frega niente a nessuno.

Da quando il rap è spopolato sono sbucati un miliardo di cristiani che fanno musica dal nulla. Ormai la storia è che, per tanti, puoi essere forte quanto vuoi, ma rimani sempre uno dei tanti “coglioni” che fa il rapper.

Hai iniziato con l’improvvisazione nei corridoi di scuola: che rapporto hai oggi con il freestyle Air Hagon? E’ ancora una parte viva del tuo processo creativo?

No, non più ormai. Ogni tanto con gli amici faccio qualche barra così, soprattutto quando vedo i ragazzi del muretto, ma definirla una parte viva del mio processo creativo non direi. Ci ho perso un po’ la mano. Ogni tanto, se sono in giornata, tornano sprazzi dei vecchi tempi, ma ormai sono fuori allenamento.

Musicalmente, come si distingue “Fuego” dai tuoi EP precedenti? C’è un’evoluzione precisa che volevi mostrare?

Penso che dai vecchi EP si distingua in tutto e per tutto. Come dicevo prima, ora sono molto più consapevole e maturo, anche perché il mio ultimo EP è di ormai cinque anni fa.

Ho lavorato tanto con Lomy in studio in questi anni e penso di aver trovato un suono mio, grazie anche a lui, con “Fuego”.

Naturalmente negli anni la mia scrittura si è evoluta e penso di essere molto meglio di prima, anche solo per il fatto che ora non sono più solo barre. Ora credo che le mie siano vere e proprie canzoni.

Sì, volevo mostrare proprio la mia evoluzione come persona. Prima ero più materialista, col classico trip dell’America, i soldi, ecc. Oggi ho capito che le cose importanti sono più semplici di ciò che si pensa.

Air Hagon, quali sono i tipi di tematiche e di suoni che troviamo nell’EP?

La tematica principale è la grinta, la voglia di dimostrare che qualsiasi cosa succeda io continuerò sempre a inseguire i miei sogni. Suoni cupi e drumlines incalzanti: ci tenevo appunto a farlo suonare grintoso, quasi arrabbiato. Penso che live queste tracce possano dare il meglio di loro.

Federico

Steek nasce in un piccolo paesino della Sardegna negli ’80 per poi emigrare con la valigia di cartone e una sfilza di dischi hip-hop nella capitale. Durante la seconda metà degli anni ’90 viene folgorato dalla cultura hip hop in tutte le sue forme e discipline, dapprima conoscendo il rap Made in USA, arrivando poi ad appassionarsi al rap Made in Italy grazie ad artisti storici, quali: Assalti Frontali, Otr, Colle der fomento, Sangue Misto e molti altri. Fondatore della page “Il Rappuso” che lo porta a collaborare con tutta la scena rap underground italiana, mette la sua voce e la sua esperienza al servizio di LOWER GROUND con la trasmissione che prende il nome dalla sua creatura “IL RAPPUSO”.

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