Estero

Palestina. Sciopero e muri per Gaza: quando la solidarietà diventa “illegittima”

Palestina Libera. Oggi le piazze italiane si sono riempite di presidi, cortei e assemblee in solidarietà con la Palestina e con la “Global Sumud Flotilla”. Da Roma a Milano, da Bologna a Palermo, studenti, lavoratori e attivisti hanno portato in strada cartelli e striscioni, ribadendo che la solidarietà internazionale non conosce confini.

Domani, 3 ottobre, era previsto uno sciopero generale che avrebbe dato continuità e forza a queste mobilitazioni. La Commissione di Garanzia sugli scioperi lo ha però dichiarato “illegittimo” per mancanza di preavviso. Una decisione che non è un semplice atto tecnico, ma una presa di posizione politica che riduce la solidarietà a un problema burocratico.

Lo sciopero e la solidarietà sono “illegittime”

Secondo il Garante, lo sciopero non rispetta i termini della Legge 146/1990, che regola le astensioni nei servizi pubblici essenziali. Il richiamo all’articolo 2, comma 7 – che consente astensioni senza preavviso in situazioni eccezionali – è stato definito “inconferente”: Gaza non sarebbe, per la Commissione, un’urgenza che giustifica la sospensione immediata del lavoro.

Così, uno sciopero per rivendicare salari o contratti è legittimo; uno sciopero per fermare un genocidio e sostenere la libertà di un popolo viene invece bollato come illegittimo. È un paradosso che svuota lo sciopero della sua dimensione più autentica: strumento politico e sociale, non solo sindacale.

Muri che parlano

La protesta non è passata solo per le piazze. A Milano, a metà agosto, è stato cancellato uno dei murales più importanti e riconosciuti sulla Palestina: la grande scritta “Free Palestine” in via Plezzo, dietro la stazione di Lambrate. Un muro storico della città, realizzato dai Volkswriters insieme al movimento Gazafreestyle, che da anni intreccia writing, cultura urbana e impegno politico.

La cancellazione, avvenuta nella notte, ha ricordato altri episodi di attacchi vigliacchi contro simboli di solidarietà alla Palestina. Ma il 20 settembre quel muro è stato rifatto, con una nuova murata a supporto della “Global Sumud Flotilla”. Un atto che ha ribadito come i muri siano archivi di memoria collettiva e strumenti di resistenza. Non semplici opere visive, ma spazi di lotta che nessuna mano di vernice può mettere a tacere. La foto qui sopra mi è stata mandata da Grim, noto writer e designer di Nuoro attivo da anni e attualmente di base a Milano.

Scioperi e muri raccontano la stessa dinamica: l’occupazione di uno spazio per rompere il silenzio. La legittimità non deriva da un regolamento, ma dalla necessità di dare voce a chi non ce l’ha. Quando un corteo blocca una tangenziale e quando una murata ricorda la Palestina, il messaggio è identico: disturbare l’ordine stabilito per far emergere un’ingiustizia.

È la stessa energia che attraversa l’Hip Hop, nato per prendere parola fuori dai canali concessi. Non a caso, nella scena rap italiana, la Palestina è spesso richiamata come simbolo di resistenza e oppressione. La cultura urbana diventa così un ponte tra la strada e le lotte globali, un linguaggio che non aspetta autorizzazioni per esprimersi.

E quindi?

Il 3 ottobre lo sciopero non avrà la legittimità del Garante, ma avrà quella della piazza e dei muri che continuano a gridare “Free Palestine”. E questa legittimità è più forte di qualsiasi parere tecnico.

Se la solidarietà diventa “illegittima”, allora la questione non è la protesta, ma la legge che pretende di normalizzarla. Perché la resistenza, in piazza come sui muri, non si può cancellare.

Selene Luna Grandi

Italian journalist, creative and public relator. I moved to London in 2015 after several years of experience as war correspondent for some Italian Newspapers. I write, promote and I'm involved in projects about Medicine, Health, Urban cultures, Environment.

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