Prima del prima chi c’era? – INTERVISTA A DJ SKIZO.
Maurizio Bonizzoni, meglio conosciuto come DJ Skizo aka Badnewz4u, non ha bisogno di presentazioni. Come ormai tutti sappiamo, da qualche mese ci ha regalato il suo ultimo progetto, intitolato “Prima del prima”. Sì, possiamo dirlo: Skizo è presente da sempre, dalla prima formazione del gruppo italo-americano Fresh Press Crew fino ai rinomati Radical Stuff, che tutti conosciamo. Skizo rappresenta l’inizio e la fine, il passato e il futuro. Sicuramente, se leggerete la nostra bellissima chiacchierata, scoprirete cosa ha ancora in serbo per tutti noi fan e amanti dell’hip hop fatto da Dio.
Buona lettura e buona vita.
Ciao Maurizio, come stai?
Benissimo! Sta procedendo tutto a gonfie vele: musica, vita, scuole, produzioni, studi. Chi più ne ha, più ne metta.
Ti occupi di tante cose, in effetti! Sei reduce dalla data del 26 ottobre al Leoncavallo a Milano, dove hai presentato ufficialmente il progetto “Prima del prima”, ed è stato un evento leggendario! Te lo aspettavi?
Sono uno di quegli artisti per cui eventi del genere non si sanno mai come andranno fino all’ultimo momento. Si sentiva la pressione della gente che ne parlava già una ventina di giorni prima. C’era un grosso fermento, quindi mi aspettavo un grande ritorno. Già alle cinque del pomeriggio c’era un’affluenza di persone che supportava. È stata una cosa totalmente insolita, mi ha sorpreso. Milano è diventata un po’ più “nottambula”: gli eventi ultimamente iniziano dopo le 23:00, mentre il Leoncavallo era già in piena attività dal pomeriggio.
Lo so bene, c’è stato il delirio, tantissima gente.
Questi eventi sono un po’ una “chiamata alle armi”, termine poco carino, ma rende l’idea. Il pubblico era composto da una fanbase, un vero e proprio zoccolo duro; da curiosi; e da chi magari si ritrovava per la prima volta a un concerto rap. Tutti con l’unico scopo di viversi quell’esperienza lì: quello era il luogo giusto dove essere per sperimentare quel genere di vibrazione, di energia non comune a tutti i concerti. La musica è sempre bella, secondo il mio punto di vista, ma quando decidi di raggiungere un maggior livello di energia devi saper scegliere la “situazione” giusta.
Verissimo, hai completamente ragione! Torniamo al disco. Ho seguito l’intervista che ti ha fatto Inoki a “Orangle Talk”. A detta tua, “Prima del prima” è un titolo molto ambizioso. Tu ci sei sempre stato all’interno della scena rap italiana e hai visto evolvere il genere in mille modi, ma in quest’ultimo progetto hai voluto un po’ “riscrivere” la storia o “riconfermarla”?
No! Non c’era niente da riconfermare. La storia, una volta che è stata scritta in modo coerente e compreso, nessuno può cancellarla! Tanto meno riscriverla, come hanno provato a fare molte persone, ma in modo errato. La mia intenzione era di dare un input alla gente per far capire che ci sono sempre stato e che non ho mai smesso, neanche per un secondo, di interagire, di pensare, di fare e confermare il mio ruolo: Dj Skizo, che non finirà mai di esistere. E’ un’energia, la mia, che arriva da altre motivazioni e viene portata avanti da anni e sarà così per molti anni ancora.
Ho notato che i 28 artisti presenti fanno parte di realtà differenti e provengono da regioni diverse. Ognuno di essi ha la sua personalissima attitudine. E’ stato un omaggio che hai voluto dare al rap italiano o è stata pura casualità?
Questo disco voleva sfatare quel metodo comunemente utilizzato nel quale il produttore va a ricercare artisti che portano “numeri certi”, li paga e li mette insieme. Nella migliore delle ipotesi, qualche hit funzionerà. Questa è la realtà purtroppo, mi dispiace deludere molti ascoltatori. Io ho cercato, a differenza loro, di scegliere delle persone che avessero cuore, tecnica, stile e, soprattutto, come comune denominatore, il gusto per la musica; metterli insieme e dare loro la possibilità di creare delle canzoni che contenessero il sapore unico della collaborazione e della spontaneità. Tutto ciò ha fatto la differenza rispetto a chi non ha effettivamente né arte, né parte e prova a fare dischi da produttore. Io ho cercato di essere il veicolo di un’energia comune: nonostante gli artisti presenti provenissero da strade diverse, in quel progetto, hanno avuto il buon gusto, lo stile e la classe di unirsi per creare delle realtà che difficilmente potevano essere studiate a tavolino.
Oltre alle collaborazioni storiche come: gli Otierre, i Colle Der Fomento, i Camelz Finezza Click, possiamo trovare Rollz Rois e Ame 2.0, che potrei definire delle “nuove leve”. Ho notato un collegamento particolare, come se tu avessi voluto iniziare dalle tue origini, con alcuni degli artisti con cui sei partito, per poi arrivare ai giorni nostri. Hai voluto cucire un cerchio senza fine per accompagnare e includere le nuove generazioni alla tua musica?
Sì, potrebbe essere interpretato anche in quella maniera. Mi rivedo molto nell’energia di Ame 2.0, anche se partiamo da paralleli totalmente opposti. Ame, sul palco, mi ha ricordato l’energia che avevo nei primi giorni, che non ho mai perso. È bello rivederla sotto altre forme. Come Rollz, quando è arrivato in studio, mi ha ricordato me all’inizio: convinto, dritto, col suo rap pronto e le idee chiarissime; si sentiva all’altezza e sicuro nel creare un lavoro fatto bene, nonostante la sua giovane età. Gli feci i complimenti: “mi sembri Maurizio quando ha iniziato!”.
Un complimento davvero importante, ma com’era il giovane Skizo alle prime “Army”?
Ero convinto! Ero una persona piena di convinzione per le proprie “Army”; ero certo di avere qualcosa. Non sapevo che sarei arrivato dove sono arrivato. Ero soltanto un giovane con talento e con la predisposizione e la capacità di mettere insieme delle persone; veicolare progetti e fomentare l’energia già presente negli spazi. Ero molto preciso e puntuale, sapevo dove volevo arrivare e cosa volevo fare. Non sapevo, però, che sarei arrivato a suonare su un palco, davanti a un pubblico di 2000/3000 persone; sapevo di avere dell’energia da tirare fuori e conoscevo delle persone che, grazie a Dio, condividevano i miei stessi intenti e talenti.
Ho seguito tutta la pre-uscita del disco, fin dall’inizio. Hai presentato i vari singoli su Instagram, sei stato un po’ l’ufficio stampa di te stesso. Già il vinile era in preorder da qualche mese. Insomma, già stavi preparando tutto, ma quanto tempo c’è voluto per realizzare tutto questo? Dal concept alla realizzazione dei brani?
Il disco si è formato nel giro di un anno. Una volta pronto, ho cercato di proporlo alle varie etichette, dalle quali ho ricevuto dei feedback positivi, ma nessuna di esse possedeva una struttura intelligente, giovane e attiva che facesse al caso mio. Le major importanti, come tutti sappiamo, non hanno una grossa identità lavorativa; producono costantemente e mettono terze persone a veicolare i prodotti. Io avevo bisogno di un’etichetta veloce, intelligente, furba, urbana e, grazie a Inoki e Chryverde, ho trovato quello che cercavo. L’Orangle è capace di osare, qualità che è difficile riscontrare in molte etichette.
L’Orangle è un’etichetta molto all’avanguardia.
Sì, assolutamente. Si respira un’energia molto fluida e veloce; non c’è paura di sbagliare. Si azzarda e si tenta, come per questo disco.
Ci hai presentato i vari singoli tramite social, a piccole dosi, preparandoci psicologicamente all’uscita ufficiale del disco, che è solo in vinile, doppio vinile. Al Leoncavallo hai dato la botta finale! Hai tirato giù tutto, è stato geniale.
Era un piano grandissimo. Si contrappone all’establishment delle etichette standard dove l’artista tira fuori il disco e dopo poco finisce l’emozione. Io ho capito che mi scontravo con 17, 18, 20 uscite di singoli a settimana. Sapevo di avere un calibro diverso e di dover entrare sul mercato in maniera differente. L’Orangle ha studiato questa formula che per me è stata molto vincente: preparare le persone a qualcosa che sta per accadere, stimolando la curiosità. Questa cosa, del resto, è ancora in atto.
La scelta esclusiva del vinile, in particolare, del doppio vinile, è per “deformazione professionale”, per i collezionisti, o perché è tornato di moda?
Io penso che tutti vorrebbero fare il vinile. Chi non preferisce il vinile abusa della nostra storia; sono persone che non fanno parte del nostro cerchio. Chiunque vorrebbe leggere il proprio nome sulla copertina di un disco di “plastica” bellissimo. Il problema che sta dietro la pubblicazione in vinile è trovare gente che lo acquisti. Io ho sempre avuto una fanbase che mi segue e supporta e negli anni credo di non aver mai deluso le aspettative di questa gente. Il vinile è stato anche un po’ “un regalo” per loro. Una cosa che ho apprezzato tantissimo è stato il fatto che molta gente ha comprato il disco e non l’ha caricato illegalmente sul web rispettando l’artista fino in fondo. Sono grato di questo e ringrazio tutti di cuore. Mi aspettavo che qualcuno spoilerasse tutto e invece si è mantenuto un segreto collettivo. E’ stato veramente fantastico. Vi ringrazio per questo bellissimo gesto e per aver creato e partecipato a questo “gioco” insieme a me. Per concludere, solo chi è fedele e rispettoso nei confronti del vinile ha un pubblico che, a sua volta, lo riconosce e lo supporta. Forse la mia potenza sta anche in questo.
In effetti, ti confesso che inizialmente avrei voluto fare una diretta Twitch con delle amiche per commentare i singoli, ma poi abbiamo lasciato perdere. Anche noi abbiamo voluto rispettare questo silenzio collettivo; sembrava quasi un’offesa. Ho avuto anche la fortuna di intervistarti per la seconda volta, quindi meglio così.
Sono cose preziose! Ogni disco che possiedo, ogni opera, ogni canzone ha un suo valore. Riconoscere la musica e valorizzarla è una cosa molto importante. Possederla, analizzarla, ascoltarla e attribuire un sentimento a ogni traccia è una cosa un po’ diversa. Nel mio percorso da dj ho diffuso molta musica, ma in segreto ogni brano racchiude un significato profondo e una storia personale che conservo come se fosse mia.
Ho avuto questa percezione ascoltando traccia per traccia. Correggimi se sbaglio: come se ogni artista all’interno del brano citasse una vecchia canzone del proprio background. Per esempio: in “Disertore”, traccia con i Colle Der Fomento, vi è un richiamo a “Nulla virtus” (Adversus 2018) e così via.
Quando ho studiato il brano con Claver Gold e Tormento ho capito la loro potenzialità; ho scritto la canzone e quella lì è rimasta. Il beat di Ancora lunedì poteva essere cavalcato soltanto da due artisti di questo tipo: uno che potesse dare un’immagine e l’altro un’apertura vocale, come quella di Torme. Così è stato per i Colle, per gli OTR, i Sud Sound System. Per quest’ultimi è stata un po’ una scommessa. Il loro beat suonava leggermente all’avanguardia; voleva stuzzicare le persone e tirare fuori il loro meglio unendo passato e presente. Ovviamente il disco contiene dei richiami a cose già fatte dagli artisti presenti, ma tradotte in maniera diversa. Non è stata una gestazione semplice. C’è stato molto lavoro dietro la realizzazione di questo album, taglia e cuci; lavoro musicale di spessore, lavoro concettuale e visivo per la ricerca del titolo e la scelta della copertina. Ancora parecchie cose devono essere rivelate.
La copertina richiama le arti marziali?
Al centro vi è uno shuriken, un’arma a forma di stella a più punte, usata dai ninja. Il titolo, “Prima del prima”, tradotto in giapponese “Sen sen no sen”, è un atteggiamento mentale da predisporre prima di un combattimento. Mi sono domandato se io fossi prima del prima e ho capito che, sì, sono all’altezza di questa frase e posso farla mia.
Hai ragione. Da te mi aspetto di tutto e so che lo faresti con intelligenza e coerenza. Questo
titolo ti appartiene.
Non ti nego che, essendo un praticante di arti marziali, il titolo mi appartiene. Sarebbe potuto essere solo un logo giapponese carino, ma poi ho voluto tradurre questo concetto e trascriverlo in italiano. Ogni tanto è giusto mettere il piede fuori, esprimere il tuo livello, chi sei, cosa hai fatto e detto nella tua vita e ricordarlo anche agli altri. Mi ricordo che ne parlai col Danno di questa cosa.
Gli dissi: “Sai che il disco lo chiamo ‘Prima del prima’?” e lui mi rispose: “È un titolo forte, ma sinceramente, chi più di te potrebbe utilizzare un titolo del genere?”.
Esattamente! Come ti dissi poc’anzi, è un filo conduttore questo disco. Non c’è stato lo shock
da parte di nessuno per il titolo che hai scelto. È tuo, ti appartiene!
Ogni volta che ho espresso la volontà di fare una canzone con qualcuno, neanche il tempo di parlarne e la risposta è stata sempre: “Sì, io ci sono; voglio esserci”. Questa cosa mi ha un po’ spiazzato. Sì, mi aspettavo di ricevere delle risposte positive da parte di tutti, ma non con così tanto entusiasmo. Questa fotta si è vista anche durante il live al Leoncavallo: sono saliti sul palco con un’energia… devo proprio dirla, un’energia così forte, così diversa. Quando noi artisti facciamo un live, guardiamo la parte tecnica, quella monetaria, organizzativa, invece quel giorno nessuno sapeva a che ora doveva esibirsi, ma alle 22:30, prestissimo, erano tutti lì. C’era Clementino piazzato all’inizio della scala per salire sul palco almeno due ore prima. È rimasto lì fermo, ad aspettare il momento, ed è stato l’ultimo a esibirsi, come un bambino che mi guarda emozionato e mi chiede con gli occhi: “Mi fai salire adesso? Spacco tutto!”. Questa energia è un po’ atipica, è magia. Questa voglia di collaborare insieme, di partecipare al progetto, si è percepita moltissimo. Questo è ciò che ho visto negli occhi di Vacca il giorno in cui venne a registrare in studio. Mi guardò e mi disse: “Sai che c’è, Maurizio… non è che puoi uscire dallo studio un pochettino, perché mi sento veramente intimorito e ho paura di sbagliare… non vorrei mai sbagliare.” Io lo guardai male e gli risposi: “Ma sei pazzo?”. E lui continuò: “No, no! Esci dalla porta, perché non me la sento. Devo dare veramente il meglio del meglio!”. Queste cose nella musica, poi, si sentono.
Ti rendi conto di cosa hai seminato durante la tua carriera; di quello che hai lasciato agli
artisti che ti conoscono o che hanno avuto la possibilità di lavorare insieme a te.
Sì. Alcuni di loro sono stati compagni di viaggio, altri nuovi incontri. Non c’è mai nulla di certo, di scritto. Il concetto di “Prima del prima” è quello di pensare e agire; prepararsi da una vita per creare qualcosa, cosicché, una volta raggiunto il momento e l’opportunità di poter fare, lo fai al massimo livello. Il concetto marziale. Facciamo una cosa, ma facciamola veramente bene!
Torniamo un pelino indietro. La scelta delle collaborazioni e dei producer: il tuo campo. Oltre al team Alien Army con i vari scratch di Ghost, Chryverde alle produzioni insieme a te e molti altri. Ti racconto questa: più o meno un anno e mezzo fa beccai Garelli in giro per Milano.
Lui sa quanto io ami te, soprattutto i Colle, e mi disse che stava partecipando alla produzione di un brano che sarebbe finito sul tuo nuovo disco, quello che poi è diventato “Disertore”. Me lo fece ascoltare in anteprima e rimasi scioccata. Gli augurai tutto il bene di questo mondo e da lì capii che, se nel tuo nuovo progetto ci sarebbe stato anche Garelli, non era per niente un caso. Qual è stato il tuo criterio di scelta?
Io vado molto a naso, sullo spessore umano. Quando riconosco persone che hanno uno spessore umano, un vissuto e anche un modo di ascoltare la musica in maniera viscerale, lì chiedo la collaborazione. Garelli è un ottimo interprete dell’era contemporanea e non solo. Ha dimostrato di poterlo essere con il pezzo Disertore, realizzato per un gruppo storico come quello dei Colle Der Fomento. L’incipit della musica è partito da lui, ma poi abbiamo lavorato insieme perché io dovevo mantenere una coerenza musicale tra una canzone e l’altra, pur consentendo ai vari produttori la possibilità di lasciare anche la loro firma sul lavoro svolto. Penso che Garelli, come Chryverde e 3rindv, siano tutte persone che hanno un ottimo imprinting, molto estroverso. Hanno qualcosa di particolare e mi ricordano quando io ho iniziato; potrebbero essere dei piccoli Skizo che hanno preso strade diverse. Mi ha fatto piacere poterli inserire nel progetto, poter dare luce a degli artisti che meritano. Chryverde ha già una sua luce in quanto ha prodotto Inoki in un paio di dischi, sta lavorando con Izi. E’ già un produttore affermato, lo stesso vale per Garelli e 3rindv, però volevo dargli un mio riconoscimento, per quel poco che può contare.
Tu, che hai osservato tutti in questi ultimi 10/15 anni: Garelli, Chryverde e altri produttori “freschi”, mi chiedevo, c’è stato qualcosa di recente che non ti è andato particolarmente a genio?
Difficilmente mi piace spezzare i sogni e le gambe a chi fa! Non avrei una risposta concreta con un nome e un cognome, perché dedico molto più tempo alla mia vita, a quello che preferisco e non presto attenzione a ciò che non mi piace. Se parliamo di entusiasmo, come quello che ho avuto da ragazzo agli inizi e che mi porto dietro tutt’ora, analizzando i prodotti attuali devo dire che c’è molta sterilità nei progetti definiti “top seller”. C’è molta poca musica, molta più volatilità, più immagine e poca lungimiranza. Ciò che brilla oggi non so per quanto tempo potrà farlo, per quanto un artista potrà guadagnare così facendo. Fanno bene a fare quello che fanno? Sì, perché hanno un linguaggio e un modo di esprimersi totalmente moderno che fa parte di questa nuova generazione. Fanno bene anche ad esagerare; a volte esagerare è un modo per mettersi in mostra e farsi notare. Il campo musicale attualmente, secondo me, è un po’ decadente. Faccio un plauso all’imprenditoria, alla cura dell’impresa, ma dei gran fischi sonori per quello che è la musica.
Immagino. Voi pionieri, essendo anche più grandi, siete anche più rispettosi nei confronti delle nuove generazioni; fanno il loro, lo fanno anche bene. Nella prima intervista che ti feci in occasione dei trent’anni degli Otierre ne parlammo già. Ormai i produttori sono più amati, sono all’avanguardia e sempre alla ricerca di nuove sonorità. Allo stesso tempo, quando mi confronto con un pioniere della scena rap noto sempre quella paura e quell’imbarazzo nel dire realmente ciò che si pensa, come se fosse un enorme tabù. “Non pestiamo i piedi ai ragazzi”, non solo per bontà e rispetto, perché come dicevi prima: “difficilmente mi piace spezzare i sogni e le gambe a chi fa”, ciononostante, a mio avviso, c’è modo e modo di fare musica. Non è detto che quello che ne esce fuori è sempre valido.
Beh, ci hanno un po’ dipinti come dei criticoni. Molti artisti non vogliono parlare perché, per alcuni, se tu sei un pioniere poi devi fare delle azioni da pioniere, capito? Molti artisti evitano di esprimere un giudizio negativo, lo lasciano intendere stando fuori. Io mi inchino all’imprenditoria, al “money making” di alcune persone. Musicalmente, però, mi ricordano molto il cantautorato sfigato italiano degli anni ’80. In Italia è sempre stato così: fuori c’era il jazz, ma a noi piaceva il jazz dei poveri; fuori c’era il rock e, a differenza di alcuni filoni progressivi molto underground, alla fine la gente decideva di ballare la Macarena. La storia si ripete. Il rap di oggi è un po’ “un’italianata”; potrebbero impegnarsi un pelino di più, così otterrebbero risultati monetari oltre che contratti privi di senso. Io gli faccio un applauso, devono succhiare i soldi alle major che se lo meritano, però anche gli ascoltatori si meritano un livello musicale di qualità.
Sono d’accordo con te. A volte odio il rap italiano. Non lo tollero. Da questo punto di vista non lo accetto. Sono una romantica del rap; mi piace quando è fatto veramente bene e di cuore.
Questa è la tua visione, come ognuno ha la sua. Non è uno status quo; il mondo cambia, le cose cambiano, così come gli istinti, le metodiche della musica e i tempi di ascolto. Quando da ragazzo compravo i dischi, non era come oggi; ogni disco te lo ascoltavi per un anno. Il disco era un elemento prezioso. Adesso sono informazioni veloci e, di conseguenza, mi viene da dire: in questo momento, con tutte queste possibilità e soldi che circolano nella discografia italiana, a questi ragazzi non è mai venuto in mente di sedersi un attimo e pensare a creare un’opera prima? Qualcosa di reale che tra 10 anni rimarrà e di cui tutti parleranno ancora? E’ assurdo che a nessuno di loro sorga quest’idea. E’ un grosso peccato perché, a volte, quando si hanno i mezzi, si possono realizzare grandi miracoli, a patto che tu abbia la volontà e il talento. I talent scout dovrebbero guardarsi più attentamente attorno. L’Italia è piena di talenti che aspettano solo di essere scoperti.
Questa è una cosa che voglio dire: tutte le volte che ho riconosciuto un talento, che avrebbe potuto
lasciare un’impronta duratura negli anni, è sempre subentrata una major o un management, che si è
messo di mezzo e questa persona inevitabilmente ha sempre perso quella “potenza” iniziale. Le major hanno la capacità di stravolgere gli artisti, come se staccassero i cavi della batteria e, una volta ripartita, girano in un tempo totalmente diverso. La musica è bella, va cotta, cucinata, ma questi colossi musicali hanno dei tempi assurdi. Devi aspettare il talent che oggi tira fuori quello che dovrà andare a Sanremo. Sì certo, io sto qui ad aspettare te, Sanremo… andate a pescare! Io ho altro da fare.
Andate a pescare è bellissima! Sono felice che la pensi come me; spesso mi sento un pesce fuor
d’acqua.
Sono percezioni soggettive. Non tutti hanno “l’orecchio per sentire”. Ci sono dei modi di dire nella lingua italiana: apri le orecchie. Tenere le orecchie aperte è diverso da ascoltare. Quando vuoi veramente capire qualcosa, ti devi mettere nella condizione di poterla comprendere. Capire un movimento, comprendere una situazione, ecc. Probabilmente tu hai dei sensi che sono decisamente più acuti di altri e sei più predisposta all’ascolto reale della musica. Capisci bene che in un mercato in cui ci sono innumerevoli singoli a settimana, è dura. Difficilmente riesci ad ascoltare bene e capire la musica attuale senza diventare involontariamente superficiale.
Io ho bisogno di tempo per ascoltare bene un disco. Una traccia la riascolto più volte e magari alla decima riproduzione avrà acquisito un altro senso ancora. Scopro dei messaggi diversi, perché magari al primo tentativo sono più distratta.
Secondo me sono delle operazioni dettate dall’effimero del web. Spotify è volatile, per esempio, molto volatile. Se perdi più tempo ad ascoltare la stessa canzone di un artista, probabilmente quell’artista inizia a perdere ascoltatori. Purtroppo, nel mondo delle major non fanno nient’altro che contare gli ascoltatori. Molti artisti comunque devono sfornare per mantenere dei numeri alti di ascolto e per poter avere una credibilità in meccanismi dove la qualità lascia posto ai numeri. Anch’io mi scontro con questo, ma sto cercando nell’immediato futuro di combattere anche con altre attività e non solo la musica. Ti spoilero questa: ho quasi terminato il mio libro sull’hip hop italiano, dove racconto la mia storia e le avventure di tutta una vita: dove sono andato, dove sto andando e dove andrò. Sto impaginando un’opera prima di 400 pagine, devastante, potentissima. Il libro è emozionante, perché è scritto come se fosse un film. Ho dato il mio massimo. Ci saranno molte testimonianze con reperti fotografici e date che sono sconcertanti. Qui molte persone che si arrogano il diritto di dire “Io c’ero, io c’ero” scompariranno come neve al sole.
Non vedo l’ora di leggerlo. Voglio una copia autografata, sappilo!
Questo è uno degli esempi su come muoversi mantenendo dei numeri, ma senza dover per forza produrre tanta musica priva di senso. Mi sento di difendere gli artisti dalle etichette che sono come dei prestiti bancari. Loro ti fanno il “prestito”, ma poi vogliono restituito tutto con gli interessi, fino all’ultimo centesimo.
L’ultima domanda è da parte di Davide Guasti, contributor per alcune testate che trattano rap italiano e mio caro amico. La domanda riguarda Gambino, ex membro degli FCE. In un tempo di ritorni, di reunion, cosa si prova a collaborare nuovamente con un artista come lui?
Io e Gambino siamo amici sin da quando eravamo piccoli. Ci siamo incontrati tantissime volte negli ultimi 10 anni. Abbiamo condiviso innumerevoli esperienze, come una convivenza a New York, all’epoca. Lui poi si trasferì in Brasile e sono andato a rovarlo parecchie volte. C’è una grossa stima reciproca. È un talento indiscusso, senza storia: questa cosa l’hanno notata molte persone. Gambino ha uno stile, uno slang, una condotta lirica estremi e ha vissuto e cavalcato la strada. Nel disco ho avuto molta cura di lui. Abbiamo provato molte volte, abbiamo cercato di trovare la sonorità giusta che fosse nelle sue corde. Gambino è uno spirito libero che si affaccia nel mondo con cuore; soprattutto, è scevro dal vincolo monetario, non è un “money dreamer”; lui entra per la corona, è diverso. È un personaggio, è veramente un film character. Chi lo conosce direbbe tranquillamente che potrebbe essere un film di Tarantino. Gambino appartiene a quella generazione dannata bolognese, come Joe Cassano e tanti altri. Sono possessori di una magia e di una luce speciale. Non smetterò mai di collaborare con lui; più che altro cercherò di essere il motore che possa far splendere i suoi sogni. Questi sono artisti di un altro livello, non fanno parte del nostro
immaginario normale. Gambino è un supereroe bellissimo.
Sono contenta di averti fatto questa domanda. Grazie Davide. C’è molto amore nella tua risposta. Ti ringrazio per questa bellissima intervista. Grazie di cuore. Vuoi dirci qualcos’altro?
Stanno per arrivare cose nuove. Sto già lavorando per tirare giù idee e progetti per produzioni nuove. Sto mettendo insieme un nuovo studio di registrazione; sto collaborando con il Late Studio di Chryverde; ho avviato la Skizo Scratch Academy per sviluppare i miei corsi; sono un talent scout per l’Orangle e ti anticipo che stiamo lavorando alla creazione di un nuovo talk, all’interno sempre della Orangle, di cui al momento non voglio spoilerare nulla.