Interviste

Sulla Strada con Solo Biasso: verità, solitudine e boom bap

Sulla Strada non è solo il titolo del primo album ufficiale di Solo Biasso, ma anche una dichiarazione d’intenti. Un disco che cammina dritto nel cuore della realtà, tra solitudine cercata e condivisione necessaria, rap romano e visione personale. Un lavoro intenso, curato, contaminato da suoni analogici e influenze letterarie, in cui ogni beat ha un nome, ogni rima ha un volto.

In questa intervista per Rappuso, Solo Biasso si racconta senza filtri: dalla genesi del disco alle collaborazioni, dalla lezione dei classici della scena romana alla ricerca di un linguaggio sempre più proprio. Un percorso sincero, fatto di scelte, dubbi, lavoro e passione — sulla strada, appunto, dove tutto scorre e nulla si finge.

Il tuo album Sulla Strada è il tuo primo lavoro solista ufficiale. Come descriveresti l’evoluzione del tuo stile musicale fino a questo punto?

Mah, sai, non so nemmeno io se “solista” è il termine giusto: questo disco non ha una struttura così diversa dai lavori usciti sotto il nome di “Biasso e Tak”, che da un punto di vista narrativo sono sempre stati dischi solisti, scritti cioè da un’unica penna. La differenza è che in questo caso abbiamo scelto di presentare il progetto sotto il nome di “Solo Biasso”, paradossalmente per coordinare meglio la pluralità di forze che vi hanno partecipato.

Se i dischi di Biasso e Tak sono affidati totalmente alle produzioni di Francesco (Tak), questo è sicuramente più corale per la quantità di persone che ci hanno laborato, ma allo stesso tempo anche la cosa più personale che ho mai fatto, sia a livello affettivo, sia perché mi sono assunto in prima persona tutte le responsabilità logistiche e di coordinamento del progetto.

Rispetto a un disco come Dio Non Parla Mai In Città (2021), ho cercato di ritrarre una realtà più zoommata e carnale, con meno barriere possibili, cercando di dare più nitidezza possibile a ogni immagine, ma lasciando comunque un suono sporco, tra atmosfere torbide e rare schiarite.
Nel tempo ho lavorato molto sullo scolpire il mio tipo di scrittura per cercare di dare più respiro a me e all’ascoltatore.

Non sono una persona che cerca compiacimento: faccio musica per emozionarmi e cercare di emozionare, quindi so che ci sono ancora tanti angoli da smussare, ma finalmente posso dire che questa cosa sta diventando concreta, e il fuoco sacro del rap in me è più vivo oggi di quando ho cominciato.

Hai collaborato con diversi produttori per Sulla Strada. Come hai scelto le collaborazioni e quale impatto hanno avuto sul sound del disco?

Ho sempre creduto che è meglio fare schifo da soli che pagare qualcuno di forte che non crede in quello che fai. Ogni produttore che ho scelto per Sulla Strada è in qualche modo collegato al mio percorso artistico e personale.

Dario Castelli, fondatore dei “Sinnerman”, è uno dei miei più cari amici, nonché mio ex coinquilino. Con Tak collaboriamo dal 2019, anno in cui ci ha presentati lo stesso Dario, con cui suona negli stessi “Sinnerman”. Con Dario Migali abbiamo fatto uscire un disco nel 2020 con il gruppo “Interferenzer” (bella per Sandro P., terzo membro), progetto che purtroppo non ha avuto seguito, ma che ci ha permesso di conoscerci e continuare a fare cose insieme nel corso degli anni.

Giacomo Nardelli (Nino), invece, è stata una bella scoperta degli ultimi tempi: pischello simpaticissimo e musicista sopraffino, che già conosceva Tak e in poco tempo è diventato una colonna portante del progetto.

Ognuno di loro ha portato professionalità e talento, creandomi lo spazio sonoro migliore per esprimere al meglio il mio messaggio.

Tak ha pensato alle fondamenta e alla visione generale del suono, contribuendo al maggior numero di produzioni e mix, garantendo al disco un imprinting stilistico forte e riconoscibile. Nino ha campionato, suonato, prodotto e supervisionato fino alla fine con noi gran parte del progetto. Dario Castelli e Dario Migali hanno impreziosito il tutto con due produzioni completamente diverse ma ugualmente potenti, che sono riuscite a tirarmi fuori una parte ancora più estrema e inesplorata del mio modo di scrivere.
Menzione speciale per Piero Conte, chitarrista fenomenale dei “Sinnerman”, che ha portato un po’ della sua magia nel brano HH.

Sulla Strada affronta temi come la solitudine e la crescita personale. Come pensi che questi temi risuonino con il pubblico giovane di oggi?

Non lo so, sono dell’idea che i pischelli di oggi siano bombardati di target psicologici, di termini medicalizzanti e, in generale, di informazione che già con il solo esistere produce solitudine e incomprensione tra le persone.

Per me non esiste età in cui non si affrontano questi temi, perché sono due sfere della vita umana con cui fai i conti dalla nascita alla tomba.

Forse la paura di rimanere soli è più acuta nell’infanzia e da vecchi, ma nel tempo scopri tanti tipi di solitudine: una solitudine a cui la vita ti costringe e un’altra che invece cerchi tu e che devi strappare al rumore degli altri.

Perché forse è vero che dentro se stesso ognuno è solo, ma siamo anche condannati, nel bene e nel male, a vivere con gli altri, e non so quale dei due estremi sia meglio o peggio.

I pischelli di oggi forse sono privati dalla tecnologia proprio della loro migliore solitudine, e sono costretti ad ascoltare troppi consigli, troppi giudizi da parte di un mondo adulto completamente idiotizzato e che non offre più nessun modello se non quello ultra capitalistico di trasformare in merce ogni cosa che fai.

Il brano Notti Belle è stato accompagnato da un video. Come vedi il ruolo del video musicale nell’espressione artistica e nella promozione della musica?

Sulla Strada è il primo progetto in cui mi preoccupo organicamente di difendere quello che faccio, e per me non è mai stato un aspetto semplice: ho sempre scelto di chiudermi autisticamente con la scrittura, dandomi in faccia quasi tutti i lavori che ho fatto, un po’ per ragioni economiche e un po’ perché sono cresciuto ascoltando la musica direttamente dai dischi e guardando pochissimi video.
Meno filtri c’erano tra me e la musica, più intimo sentivo il momento.

Ormai da un po’ di anni ho cambiato questa percezione e ho iniziato a curarmi di tutti gli aspetti che servono per dare consistenza a un immaginario, ma anche per incrementare il mio bagaglio di esperienza, perché scattare foto o fare un video è comunque un modo di mettersi in gioco con il proprio corpo e con la propria immagine di sé.

È il secondo video ufficiale che faccio uscire in tutta la mia vita, e spero possa rappresentare al meglio agli occhi di chi lo guarderà uno dei pezzi a cui tengo di più di tutto il disco.

La scena rap romana ha una lunga tradizione. Come pensi che il tuo lavoro si inserisca in questa tradizione e cosa porti di nuovo?

Che dire… a Roma siamo tutti “nani sulle spalle dei giganti”, perché la golden age romana ha visto gente del calibro di Danno, Noyz, Primo, Il Turco, che hanno detto tutto su questa città.

Allo stesso tempo, i grandi che ci precedono non ci lasciano solo un’eredità, ma ci indicano anche delle strade che loro stessi magari non hanno preso.

Quando ho iniziato a scrivere, la prima cosa che ho fatto è stata quella di cercare di rispondere alle strofe dei miei rapper preferiti, di completarne il senso laddove era lasciato in sospeso. Come un esercizio di stile ma anche per costruire un discorso collettivo che mi guidasse in anni difficili per me.

Adesso che sono grande ho maturato consapevolezza della mia unicità, che non so bene in cosa consista – in genere queste cose dovrebbero dirle gli altri.
Penso solo che quello che scrivo sia unico, nel bene e nel male, ma anche che rappresenti una Roma mai raccontata da nessuno. Una Roma forse meno identitaria, ma più personale e meno chiusa in se stessa.

Il nome d’arte “Solo Biasso” suggerisce un percorso solista. Come vivi la solitudine creativa e quali sono le sfide e i benefici di lavorare da solo?

In realtà, il termine “Solo” in questo caso, più che un aggettivo, direi che è un avverbio, sinonimo di “Semplicemente, nient’altro che…”, a rimarcare che la persona e l’artista che stai sentendo sono la stessa identica cosa.

La mia musica, rispetto a quella di altri rapper abituati da pischelli al freestyle o a stare in comitiva, è nata nella solitudine e ancora oggi detesto scrivere in gruppo. Credo che sia una cosa divertente, ma anche limitante.

Se si dice che prima di dire qualcosa bisognerebbe riflettere, pensa prima di scrivere. Almeno io ragiono così.

Poi capisco che il rap non è solo questo, è anche energia, fomento, voglia di stare insieme, e nel tempo sto riuscendo a conciliare sempre di più questi due aspetti.

Hai dichiarato di ispirarti a autori come Cesare Pavese e De Gregori. In che modo queste influenze letterarie si riflettono nel tuo lavoro?

Sono due influenze molto diverse fra loro che mi hanno fatto riflettere ed emozionare: di Pavese apprezzo quel senso di omissione, quelle frasi semplici e a volte trattenute ma chiare e profondissime, che per certi versi mi ricordano Luigi Tenco.

Mi rivedo nella malinconia e nella titubanza della sua penna, in quel senso costante di non risolto che emana ogni riga.

De Gregori, invece, al contrario, mi ha fatto innamorare della nitidezza delle sue immagini: “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole”, immagini che a volte non ti chiedi neppure cosa vogliano dire, perché non c’è bisogno.

Le loro sono tra quelle che più si sono sedimentate dentro di me, insieme a tante altre influenze diverse che si sono stratificate nel corso del tempo.

Rappresentano il mio patrimonio linguistico e immaginativo; sono parte della mia identità, quindi cerco sempre un dialogo con loro.

Sulla Strada è stato realizzato con un sound boom bap arricchito da strumenti analogici. Come hai lavorato con i produttori per ottenere questo risultato?

Ho lavorato ai brani di Sulla Strada singolarmente con ognuno di loro, coordinando insieme a Tak l’equilibrio sonoro generale del disco. Tak ha curato la maggior parte dei mix (gli altri sono stati realizzati da Squarta) e ha firmato anche molte delle produzioni.

Nino ha contribuito sia producendo alcuni brani, sia suonando il basso e il synth bass su alcune delle produzioni di Tak. A sua volta, Tak — che è anche batterista — ha risuonato le batterie su un beat di Nino, quello di Sulla Strada.

Con Dario Castelli e Dario Migali abbiamo completato il lavoro con due brani dal carattere più sperimentale, ma in generale è stato un processo di scambio continuo.
Ognuno di noi si è lasciato contaminare dal lavoro dell’altro, senza mai rinunciare alla propria identità musicale.

Guardando al futuro, quali direzioni musicali pensi di esplorare e come immagini il tuo prossimo progetto?

Non ti so rispondere con certezza, ma sento di non essere nemmeno al 20% di quello che posso esprimere con il rap, e nonostante sia già grande ho nei confronti di questa cosa un entusiasmo quasi adolescenziale.

In questo momento ho in ballo due progetti belli, ancora agli albori, ma che hanno già dato qualche frutto: il primo è con tre ragazzi più giovani, davvero talentuosi, che mi stanno aiutando a vivere la musica in un modo nuovo, più collettivo. In arte si chiamano Young Tieca, Micro e Mic Def. Ci siamo conosciuti in pandemia e abbiamo già fatto uscire dei pezzi che trovate principalmente su YouTube.

Il nuovo progetto verrà presentato sotto il nome “4DIBASTONI” e il primo singolo spero riesca a uscire tra settembre e ottobre.

Il secondo nasce dalla collaborazione con il pluri citato Dario Castelli: si tratta di un progetto completamente sperimentale, lontano da tutto ciò che ho fatto finora, sia a livello sonoro che concettuale, su cui non posso anticipare nulla.

Entrambi i lavori dovrebbero uscire tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026, ma non abbiamo ancora deciso con esattezza sotto quale forma o con quale nome li presenteremo.

Federico

Steek nasce in un piccolo paesino della Sardegna negli ’80 per poi emigrare con la valigia di cartone e una sfilza di dischi hip-hop nella capitale. Durante la seconda metà degli anni ’90 viene folgorato dalla cultura hip hop in tutte le sue forme e discipline, dapprima conoscendo il rap Made in USA, arrivando poi ad appassionarsi al rap Made in Italy grazie ad artisti storici, quali: Assalti Frontali, Otr, Colle der fomento, Sangue Misto e molti altri. Fondatore della page “Il Rappuso” che lo porta a collaborare con tutta la scena rap underground italiana, mette la sua voce e la sua esperienza al servizio di LOWER GROUND con la trasmissione che prende il nome dalla sua creatura “IL RAPPUSO”.

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