Rap italiano

Urban Girls #2 – Sista Ira, la “Testimone”

Urban Girls babes!

Eccoci qui con la prima vera intervista!
Una delle più importanti, non solo perché è la prima, ma perché è stata fatta a quattro mani con Claudia La Disagiata che ho menzionato nel mio pippone di qualche giorno fa.

Grazie a Claudia è stato possibile intervistare Sista Ira, una rapper milanese rinomata nell’underground hip hop per le sue liriche conscious e il suo impegno sociale come educatrice tra gli adolescenti delle periferie di Milano. È una donna dotata di una straordinaria energia e intelligenza empatica.

Claudia ha avuto il piacere di conoscerla nel carcere di Bollate grazie a un progetto che viene menzionato proprio in questa intervista.

L’album di Sista Ira, “L’oro di Klimt”, è stato interamente prodotto da FatFat Corfunk, artista, producer, mc e dj attivamente presente nella scena underground da 25 anni, rinomato per la sua dedizione e conoscenza della cultura hip hop.

Sista Ira non è una classica MC autocelebrativa, ma con le sue liriche conscious mira al cuore e all’anima degli ascoltatori parlando di contenuti come la rivalsa delle donne (che chiaramente l’ha fatta schizzare al primo posto delle donne che volevo intervistare per questo progetto), i vissuti sofferti, i racconti dei ragazzi di periferia, passando per versi ispirati a una strada che può toglierti tutto ma che stimola a riflettere sul senso della propria direzione di vita.

Questa intervista non vuole fare altro che esplorare l’interiorità di Sista Ira e il suo disco. Garantisco che, nonostante la lunghezza dell’intervista, ogni parola da lei detta vale il tempo che impiegherete.

Parliamo di Riscatto. Un concetto che nel tuo disco, L’oro di Klimt, è parecchio presente. Qual è il tuo?

Il riscatto è il Concept dell’album! Nella mia vita ho avuto parecchi momenti in cui mi sono presa le mie rivincite personali. Sono andata via di casa a 19 anni vivendo alla giornata e trovando nella crew di allora un rifugio dove poter fare le mie esperienze di crescita, ho visto tante delle persone che mi circondavano morire o perdersi per droga e reati. Quando vedi i tuoi fratelli in una bara o ammanettati a un processo e che non vedrai più per parecchi anni, capisci che devi scegliere da che parte stare. Il mio riscatto è essere tornata in strada come educatrice laureata per supportare i ragazzi adolescenti nella loro crescita. Il mio riscatto è avere due figli e un uomo che mi ama e che mi aspettano a casa la sera. Il mio riscatto è aver creato questo album insieme a uno dei migliori produttori in Italia e aver dichiarato al mondo chi è Sista Ira.

Nel tuo disco ci sono anche molti riferimenti alla donna, che, invece è al centro di questa rubrica #urbangirls. Qual è la tua esperienza come Donna in Italia?

Il rap è un linguaggio che appartiene a un mondo chiamato Hip Hop, se lo parli e lo sai riconoscere non c’è questione di genere che tenga, quando prendi il mic la gente ascolta se spacchi non se sei una tipa. Artisticamente sono sempre stata apprezzata o criticata per il livello della mia abilità in questo gioco. Dal punto di vista lavorativo invece è una grande corsa ad ostacoli soprattutto quando i figli diventano la tua priorità. La maternità, sempre che tu abbia un lavoro da dipendente, è pagata al 100% fino al 4 mese di vita del bambino poi o rientri al lavoro oppure vieni pagata il 30% dello stipendio e solo per 6 mesi.

Il rientro al lavoro è un delirio organizzativo, bisogna destreggiarsi tra un mondo del lavoro che richiede di essere disponibile e performante e un mondo familiare dove i figli richiedono la presenza degli adulti per crescere. I primi anni di asilo i bambini si ammalano e in ogni caso la quotidianità richiede una presenza di cura, se hai un lavoro che ti occupa fino a tardi chi va a prenderli a scuola tutti i giorni? E quando si ammalano chi sta a casa con loro?

Ma se ti assenti troppo dal lavoro verrai richiamata per le troppe assenze, i colleghi inizieranno a non vederti di buon occhio ed è un circolo di enorme fatica. Se hai dei supporti e una rete familiare che ti sostiene riesci a portare avanti dei progetti, altrimenti tocca spendere soldi preziosi per la baby sitter oppure bisogna rivedere il piano lavorativo e a quel punto la promozione, la carriera, quel posto da responsabile che meritavi purtroppo lo daranno a un altro o un’altra (che non ha figli però).

Testimone. Questo è un pezzo che quando ho ascoltato mi ha fatta incazzare da morire. Ho abbozzato almeno dieci domande. Su come hai vissuto quel periodo, sulla religione, sul ruolo della famiglia nell’educazione e nella crescita emotiva. Mi sono immaginata tutto quello che hai descritto. Alla fine di questo … la prima cosa che mi viene da chiederti è: come stai ora?

Testimone é stato il brano da cui sono partita a scrivere senza sosta “L’oro di Klimt”, l’ho riscritto molte volte, è stato molto doloroso. Era questo il blocco che mi inchiodava al punto di partenza. Avevo rimosso la mia infanzia, era chiusa in una porta a chiave, ma era nel mezzo della mia strada e non riuscivo a vedere cosa interferiva con il mio percorso. Era una tappa obbligata per procedere, ma ancora non lo sapevo, non gli davo importanza.

Da quando sono diventata mamma ho trovato la chiave per aprire quella porta. Da quando mi sono ricordata di aver avuto un’infanzia anch’io, ho preso quella sofferenza e me ne sono occupata. Me ne sono occupata perché certe ferite condizionano la nostra esistenza anche se non ne siamo consapevoli. Quando ci occupiamo delle nostre ferite interne stiamo male da morire ma poi riemergiamo e quel respiro profondo che prendiamo appena vediamo la luce è il suono di una rinascita incredibile. A me ha dato l’energia per scrivere un intero album! Come sto? Benissimo!


Hanno rubato la mia infanzia in nome di una religione”. Questo avviene anche in tantissime parti del mondo in cui a giovani donne vengono negati diritti o vengono imposte mutilazioni o matrimoni. In generale, però, tendiamo sempre a pensare molto lontano. Senza considerare che ci sono tantissime problematiche serie e ingiustizie anche sotto casa, in Italia. E tu di questo sei una testimone. Ci sono tutele qui? Qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa per te?

Il mio rapporto con le ingiustizie soprattutto sui minori mi ha sempre attivato nella pratica ed è per questo che ne ho fatto una professione. Mi occupo della prevenzione e della tutela minori da molti anni. Ho sempre collaborato con i servizi sociali, la scuola e gli enti del territorio e so bene come funzionano. Purtroppo, non sempre i servizi educativi per minori riescono a rispondere in maniera efficace ai bisogni reali dei ragazzi e dei bambini.

Ci sono liste di attesa chilometriche per l’ingresso nelle comunità e nel frattempo ci sono realtà familiari drammatiche. Io faccio un lavoro per cui divento il punto di riferimento dei ragazzi e delle loro famiglie nel territorio e quando c’è una relazione di fiducia forte sei la persona a cui raccontare anche le grane più grosse e lì non ci si può girare dall’altra parte, quelle sono richieste di aiuto. Non lo so se qualcuno avrebbe potuto aiutarmi, ma so che le convinzioni religiose estreme sono molto pericolose e su questo tema a livello sociale bisognerebbe trovare delle risposte di aiuto in favore di tutte le figlie e i figli che le subiscono.

Tu ora sei mamma. Joy & July è una lettera dedicata ai tuoi figli; ti descrivi come una madre educatrice e sostenitrice, non posseditrice delle loro vite. Come vivi la cosa? Hai paure o ansie? Qual è l’educazione che vuoi dare?

Joy & July é una lettera ai miei figli rispetto alla madre che voglio essere per loro. Volevo definirmi per differenza da una genitorialità del possesso, quella genitorialità che decide per te, che ti è amica ma in realtà vuole tenerti stretta e controllare ogni scelta, dal quale è difficile smarcarsi ed emanciparsi davvero. Ecco io vorrei che i miei figli trovassero se stessi, la loro strada e lo sforzo enorme che mi auguro di riuscire a fare è di non condizionarne le scelte. Insegno loro come fare le cose così che possano ripetere il gesto in autonomia, cerco di non sostituirmi laddove possono fare da soli.

Essere genitori è un ruolo che ti domanda ogni giorno se stai facendo bene, io cerco di informarmi tanto e non lasciare sempre tutto al “come viene”. Anche i genitori dovrebbero studiare e approfondire un po’ le questioni educative, lo richiede la nostra responsabilità da adulti. Dobbiamo in ogni caso avere l’umiltà e accettare che anche se faremo del nostro meglio sicuramente sbaglieremo e speriamo che i nostri figli “potranno perdonarci a tempo debito”.

La società di oggi continua ad essere patriarcale attribuendo un ruolo specifico alla donna e uno diverso all’uomo. Nel tuo brano One Day mi hai fatto sorridere quando hai fatto riferimento al padre che se chiede un giorno libero per i “si sente donna”.  Tu sei un’educatrice. C’è qualcosa, a tuo avviso, che la scuola o le istituzioni possono fare per cambiare questa tendenza? One day è un sogno di speranza e utopia per un mondo migliore per i tuoi figli e per il futuro dell’umanità. Secondo te, da madre e da donna, un giorno tutto ciò potrà essere reale?

Non sono una sociologa ma penso che paghiamo lo scotto di un retaggio culturale a stampo patriarcale delle generazioni precedenti che ancora si insinuano nei detti e nei fatti del nostro vivere quotidiano. Dall’augurare ancora i figli maschi al distinguere i colori e i giocattoli per maschi e femmine, al convalidare o meno le emozioni in base al genere, alcuni dicono ancora ai bambini: “stai piangendo come una femminuccia”! Un detto che invece mi sembra più onesto intellettualmente è il proverbio africano che dice “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, certo!

Non bastano due genitori a trasmettere i valori e la cultura del consenso e di un’affettività sana del rispetto dell’altro, ma è importante che anche la scuola investa su questi temi, più importanti del sapere una poesia a memoria (che non serve a niente). Perché il governo non investe sull’educazione affettiva, sulla formazione, sui giovani, sul supporto genitoriale, sull’inserire figure pedagogiche a scuola?  Perché le professioni sociali sono così sottopagate?

L’abbandono scolastico in Italia è uno dei più alti in Europa e hanno ragione i ragazzi! Sapete quanto ammonta lo stipendio di un educatore laureato? Non arriva nemmeno a quello che dovrebbe essere il minimo salariale di1500€! “One day” è un brano che vuole stimolare delle riflessioni su una dimensione sociale che sta perdendo di vista l’altro e sta affogando nel suo stesso egoismo.

Vorrei alleggerire l’intervista. E tornare alla musica. Come mai il disco – che specifico essere il tuo primo disco ufficiale dopo due Ep- lo hai chiamato L’oro di Klimt? Che messaggio vuoi trasmettere?

Il significato dell’Oro di Klimt si esprime a pieno nella sua Title track. Un brano che ho scritto a me stessa e a tutte le donne che in un periodo della loro vita hanno vissuto nell’ombra e hanno preferito non mostrarsi perché fagocitate dalle proprie insicurezze. Il mio è un invito ad emergere, a mostrarsi, é un invito a non dimenticarsi del proprio valore perché ognuno di noi lo possiede e non vergognarsi mai della propria storia.

Se riusciamo ad affrontare il nostro “Moment of Truth” non avremo più paura del confronto con la vita e lì inizieremo a brillare proprio come le opere di Klimt. Questo album è il mio oro di Klimt: il mio ritratto, il mio talento e le mie skills, se non ti piace il mio album vuol dire che non ti piace chi è Sista Ira, ed è assolutamente legittimo, ma non vuol dire che avrò meno valore.

Qual è il pezzo a cui tieni di più nel disco?

Il pezzo al quale sono più affezionata è decisamente “Ghost Dog & Perline”. Qui con FatFat si è creata una magia che appena ho sentito le prime battute del beat, mi ha fatto totalmente perdere il sonno. L’emotività del beat mi ha trascinata in un flashback incredibile, riuscivo a rivedere tutte le strade che avevo camminato insieme al mio maestro e migliore amico Gianni in arte Ghost Dog scomparso in un incidente stradale nel 2011.

Ho scritto per lui tante canzoni ma questa è forse la più bella che io sia mai riuscita a scrivere per lui. L’ho trasformato in attimi di riscatto e speranza,  negli attimi più belli che una vita di strada sofferta può comunque regalarti. Per me Giannone è nell’hip hop che amo. Il riferimento al film “Ghost Dog, il codice del samurai” fa da cornice e il rapporto che si crea tra il personaggio principale e la sua amica Perline mi ha dato l’ispirazione per scrivere questi versi.

Molto bella e interessante la copertina dell’album. Ricorda molto i vinili di musica Jazz, Blues e Soul alla Nina Simone e Billie Holiday style, anche per la scelta del colore oro che predomina su tutto e ti fa da cornice. Immagino che vorrai stampare il disco in formato vinile?

Siamo in stampa con il 33giri tiratura limitata! È già preordinabile alla mail alebellad@virgilio.it! La copertina è ripresa da “Sparkle” della sola e unica Aretha Franklin. Il nostro grafico The22ndesign ha realizzato in maniera eccellente la nostra idea modificando il colore in oro per riprendere il titolo dell’album. L’immagine di Sparkle è un’immensa luminosità che emerge dal buio, proprio il significato che vuole trasmettere L’oro di Klimt. Questa ispirazione è stato un sincero tributo alla mia cantante preferita e a una delle donne a cui mi ispiro maggiormente e lo scrivo nel retro della copertina “ad Aretha che ha fatto del suo spirito nel buio la sua più grande luce, la tua musica mi ricorderà sempre chi sono”. 

L’oro è il colore che identifica il disco. Nella traccia L’oro di Klimt dici: “fai brillare le tue skills, sista, sei tutto l’oro di Klimt”; metti insieme arte e cromatologia. Per la storia dell’arte l’Oro, essendo un colore inossidabile, simboleggia l’incorruttibilità, l’immortalità e la perfezione. Un colore molto audace e sacro, ma qual è il significato che gli hai voluto attribuire?

L’oro oltre a brillare ed essere immediatamente visibile dà proprio l’idea di qualcosa di autentico e duraturo. Ecco tutto quello che ho scritto in questo album l’ho fatto per non dimenticarmi più chi sono e da dove arrivo é il mio next level di consapevolezza. Se dovessi perdermi di nuovo avrò sempre un riferimento dal quale ripartire.

Com’è nata la collaborazione con FatFat Corfunk?

È nata nel 2020 con la traccia “Notte stellata”. Mi sono conquistata la sua stima quando ha sentito la strofa che avevo scritto nel suo EP con 3DC (il mio compagno e padre dei miei figli, anche lui MC) Inverni Speranzosi. Poi la collaborazione si è interrotta perchè non ero ancora pronta a mettere me stessa in musica. Da quando poi mi sono occupata davvero di me, quei blocchi si sono sciolti sotto una pioggia incessante di ispirazione e lì ho ricontattato FatFat che con piacere ha accolto la mia intenzione di creare seriamente un progetto.

Avevo in mente solo il concept dell’album e abbiamo semplicemente seguito l’ispirazione e il risultato sono 11 tracce di un lavoro hip hop ad alto concentrato emotivo. Sono davvero orgogliosa che sia stato proprio FatFat a produrmi questo primo album perchè lo stimo davvero tanto a livello artistico e personale. Non potrò ringraziarlo mai abbastanza per aver creato delle atmosfere così perfette! A mio parere, il suo gusto, la cura dei dettagli e la sua abilità ha ben pochi rivali in Italia.

Nel 2020 hai dato un preziosissimo aiuto nella realizzazione di un laboratorio per la mia tesi di laurea. Il progetto era un percorso basato sull’uso delle quattro discipline Hip Hop rivisitate in chiave terapeutica indirizzato alle donne del reparto femminile del carcere di Bollate. Hai curato la parte della scrittura Rap e te ne sarò per sempre grata. Purtroppo, a causa della pandemia Covid-19 il progetto è stato interrotto. Sei un’educatrice, ma ricordo ancora quando mi dicesti che non avevi mai preso parte ad un progetto all’interno di un carcere, ma eri emozionatissima e felice di parteciparvi. In Notte stellata accenni quest’esperienza insieme a 3DC. Adesso che, per la prima volta, sto avendo la possibilità di intervistarti volevo chiederti cosa ti ha lasciato questa esperienza (seppur breve) e com’è stato confrontarti con delle donne che vivono una condizione di reclusione?

Partecipare a un progetto legato all’hip hop all’interno del carcere di Bollate nella sezione femminile, è stato incredibilmente interessante! Innanzitutto, entrare in una situazione di restrizione e mettersi in contatto con le donne all’interno, mi ha dato molto a livello di esperienza di vita che ho messo nel mio bagaglio. Nei laboratori rap che gestisco di solito punto a due cose, la prima è il divertimento e la seconda, dopo aver creato un gruppo nel quale è possibile fidarsi, è la condivisione di vissuti che poi verranno tradotto in versi. In quei pochi incontri siamo quasi riuscite a raggiugere entrambi gli obiettivi.

Quasi perchè eravamo nella fase di creazione del gruppo ma non scorderò mai i sorrisi e i momenti in cerchio in cui ci si esprimeva in parole sul tempo creando un’armonia musicale, quasi corale. Come anche non scorderò mai i racconti di sofferenza di alcune donne con le lacrime agli occhi e di quanto la famiglia mancasse loro. Lo racconto in “Notte stellata”. Sono io che ti sarò sempre grata per avermi coinvolto in questa esperienza.

Se provi a brillare, forse, arriva ancora… l’aurora” bellissimo monologo di Cisky ne La 25° ora di Cisky, che fa da Outro al disco. Parlaci un po’ di questa collaborazione.

Conosco Cisky da quando avevo 17 anni. Sono cresciuta con le canzoni che creava con la sua crew “Da clan”. Parlo di una crew underground dei primi anni 2000. Crescendo poi ho vissuto parecchi anni in Corvetto eravamo in crew insieme anche se per cause di forze maggiori non ci siamo visti per anni. Conservo ancora le sue preziose lettere.

Cisky lo considero un fratello e questo album ha solo collaborazioni sentite di persone a me vicine. Cisky ha un grandissimo talento artistico, la sua voce è incredibile e nessuno meglio di lui avrebbe potuto trasmettere al meglio lo spazio di sofferenza che intercorre tra strada e riscatto. Gli ho semplicemente chiesto di scrivermi e mandarmi uno skit o piccolo monologo sul tema del riscatto e lui ha creato proprio quello che cercavo!


Claudia La Disagiata
Selene Luna Grandi


Urban Girls

Vogliamo chiamarlo progetto femminista?

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