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Fibra dovrà risarcire Valerio Scanu: la Cassazione non cancella il diritto al dissing, ma lo ridimensiona

Fibra dovrà risarcire Valerio Scanu. La notizia è confermata.

La libertà artistica ha dei limiti, e lo ha ribadito anche la Corte di Cassazione. Con una sentenza definitiva, i giudici hanno confermato la condanna nei confronti di Fabri Fibra (all’anagrafe Fabrizio Tarducci) per diffamazione ai danni del cantante Valerio Scanu.

Il caso risale al 2013, quando nel brano A me di te (incluso nell’album Guerra e Pace), Fibra attaccava duramente Scanu con versi considerati offensivi e a sfondo omofobo.

Dopo anni di battaglie legali, la Cassazione ha confermato che quei contenuti hanno superato i confini della satira e dell’espressione artistica, configurando a tutti gli effetti un reato di diffamazione.

Già nel 2016 il Tribunale di Milano aveva condannato il rapper al pagamento di una sanzione e di un risarcimento provvisorio. Oggi, con la pronuncia definitiva, la cifra che Fabri Fibra dovrà versare a Scanu è stata aumentata a 70.000 euro. Coinvolta nella condanna anche Universal Music Italia, ritenuta responsabile per la distribuzione del brano.

Questa sentenza segna un passaggio importante nel dibattito su libertà creativa e tutela della reputazione, sottolineando che l’arte non può diventare veicolo di insulti gratuiti.

Una riflessione sul rap e la cultura hip hop

Il verdetto apre un fronte delicato per il mondo del rap, un genere che storicamente affonda le radici nel dissing, nella provocazione e nella sfida verbale. Dalla battle freestyle alle punchline più taglienti, l’hip hop ha sempre avuto un rapporto stretto con l’eccesso e la libertà di parola.

Tuttavia, il caso Fabri Fibra vs. Scanu introduce una riflessione importante anche per questa cultura: dove finisce l’attacco artistico e dove inizia la diffamazione personale?

Negli Stati Uniti, patria del rap, situazioni simili si sono già verificate. Eminem, ad esempio, è stato più volte citato in giudizio per i contenuti dei suoi testi, come nel caso della madre o dell’ex moglie, ma spesso è riuscito a far valere il principio della “hyperbole artistica”, una forma di esagerazione ritenuta legittima in ambito creativo. Tuttavia, non sempre è andata così: anche artisti come Rick Ross e 50 Cent hanno dovuto affrontare risarcimenti milionari per versi ritenuti lesivi dell’immagine altrui.

La sentenza italiana non cancella il diritto al dissing, ma lo ridimensiona: il rap può restare provocazione, ma non può diventare pretesto per la violenza verbale fine a sé stessa. È un messaggio che tocca non solo gli artisti, ma l’intera industria musicale, sempre più chiamata a un equilibrio tra libertà espressiva e responsabilità sociale.

Selene Luna Grandi

Italian journalist, creative and public relator. I moved to London in 2015 after several years of experience as war correspondent for some Italian Newspapers. I write, promote and I'm involved in projects about Medicine, Health, Urban cultures, Environment.

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