Interviste

4 chiacchiere con Egreen: “Bellissimo” e non solo…

Vi racconto la storia che c’è dietro a questa splendida intervista: dico splendida perché, al di là del vostro giudizio da lettori (a dir poco importantissimo), mi permetto di definirla cosi, grazie all’enorme emozione che ho provato prima, durante e subito dopo aver concluso la nostra chiacchierata. Immaginate un pomeriggio di una giornata qualunque; mi metto in viaggio per raggiungere casa di Nicolas, imbottita di ansia da prestazione. Durante il tragitto in macchina ho pensato due cose: userò il suo bagno, per forza! Così potrò dire di aver pisciato a casa di Egreen alla Massimo Pericolo style; la seconda cosa è il dubbio che ci poniamo un po’ tutti noi contributors quando sappiamo di dover intervistare un artista che a noi piace, ovvero, ma che persona sarà Nicholas? Dall’esterno risulta un uomo molto riservato, uno di quelli che non accettano che qualcuno invada i propri spazi, soprattutto i più intimi. Sono stata sincera fin da subito con lui esponendogli il mio infinito disagio anche perché ci siam conosciuti poco tempo prima e non volevo risultare né troppo sicura di me, né troppo scialla. Volevo semplicemente essere me stessa!
Contro ogni aspettativa mi ha subito messo a mio agio con del Gin tonic e successivamente con del
vino che io ho rigorosamente rovesciato sul suo tappeto grigio, ma fortunatamente il vino era bianco
e il danno è stato insabbiato alla grande. E’ stato come parlare con un amico che non vedevo da anni e questa cosa mi ha fatto un bene che non potete capire!
Ma bando alle ciance… il suo tappeto è salvo, io ho fatto pipì nel suo bagno e Nicolas è una persona meravigliosa!

PH. Iacopo Murari

Ciao Nicholas! Come stai in questo periodo?

Bene, sono stato peggio.

Ovvero? che è successo?

Se ripenso solo ad un anno fa ero molto più confuso, molto più incasinato. Eh… un anno fa, al momento di questa intervista, stavo cercando di capire come gestire il mio calendario; se la mia carriera avesse ancora senso di esistere… Oggi diciamo che le cose stanno andando meglio, quindi si, meglio.

Ottimo, sono molto contenta!
Sicuramente l’argomento principale di questa intervista è il disco nuovo, Bellissimo, chiaramente sarei curiosa di chiederti molto altro. Questo album è interamente dedicato a Kaos. Perché? Cioè, per quale motivo hai scelto di dedicare un intero lavoro a questa figura, il motivo reale, perché non credo sia stata solo una questione di ammirazione.

Eh, allora, può sembrare una domanda stupida, in realtà non lo è per niente e ti dirò anche il perché.
In primis, perché secondo me alcune figure artistiche vanno onorate e celebrate prima che la loro carriera abbia un fine. In questo paese c’è una tendenza strana: si tende sempre a glorificare le persone solo quando non ci sono più o quando hanno smesso di fare musica. A mio parere, visto che lui comunque è fresco di un disco (Chiodi) e ha fatto tante altre cose prima, è una cosa molto importante ricordare la presenza di alcuni personaggi, finché sono in vita, anche artisticamente parlando. Nulla è stato concepito a tavolino in questo progetto. È stato tutto molto spontaneo. Questa è la mia prima motivazione!
In secundis, quando ho capito che stavo incanalando questa sensazione di “fastidio”, che non è legata prettamente solo a quel disco, ma in generale, a quello che lui ha espresso da quel disco in poi, è arrivato tutto molto spontaneamente. In quel momento ho deciso che poteva avere senso fare una cosa di pancia così, no?

Ci sta! Vorrei prendere in prestito il ritornello della seconda traccia, Bellissimo: “ Molte cose cambiano, ma altre no. In due parole questi rapper sono “anche no” […]. Mi ricollego a questa affermazione per sapere cosa non è cambiato in te dal primo giorno che hai iniziato a fare rap, e soprattutto, ad approcciarti a questa cultura.

Ok! Beh…una cosa che non è cambiata è sicuramente la fame e l’ambizione di voler dimostrare delle cose, di mostrare delle cose, in primis per me. Dimostrare a me stesso di esserne degno. Dopo tutti questi anni ho cercato di portare avanti un pensiero e una visione legata ad un approccio alla disciplina. Questo è un concetto che uso molto spesso: l’approccio alla disciplina. Non è cambiata la voglia di provare, come non è cambiata la voglia di dimostrare. Esiste una cerchia di persone che sono degne di tramandare determinate cose, senza spocchia o arroganza. L’arroganza, magari, l’ho avuta in passato. E può sembrare strano, ma è realmente molto personale il concetto dell’Io contro io, no? Questo è quello che mi ha portato principalmente a voler fare una cosa del genere. Molti anni dopo mi sono rispecchiato molto in alcune cose legate a Marco. E’ stata una scelta assolutamente non forzata, ma dettata da quello, diciamo, dall’Io.

“Nella musica quello che conta è solo la prova del tempo” e su questo sono pienamente d’accordo, non ho nulla da ridire. Chi ha superato secondo te, indenne, questa prova del tempo?

In Italia?

Si

Nex Cassel e Ensi. Queste sono due persone che credo l’abbiano superata pienamente. Ovviamente io sto omettendo gente tipo Danno che l’ha più che superata, Marco ovviamente.

Danno, forse, è ancora attuale paradossalmente. I Colle con Adversus, mi permetto di fare una piccola parentesi, hanno sottolineato quel concetto di “ non bisogna fare un disco ogni anno per forza, se hai qualcosa da dire lo fai, altrimenti va bene così”.

Ma forse i Colle rappresentano pienamente il cosa significa aver superato la prova del tempo. Un’altro è Guè, che indiscutibilmente ha superato la prova del tempo. Sicuramente Anche Pietro, Il Turco, secondo me l’ha superata; Ho sentito delle cose sue nuove e lui, con i suoi tempi, nella maniera in cui ha affrontato la vita… secondo me lui l’ha superata. Io credo, Guè, i Colle, Kaos, Ensi, Nex Cassel e io. Pochissimi altri me ne vengono in mente.

Mia curiosità personale: di Johnny Marsiglia cosa ne pensi?

Johnny Marsiglia penso che sia un grande artista. Se avessimo avuto più dischi suoi sarebbe stato
sicuramente un bene per il movimento, per la cultura. So che sta uscendo con un disco nuovo, poi
lui è una penna incedibile.

Una volta, parlando con una persona che conosci bene, uscì l’argomento giornalisti\interviste. Secondo lui nessuna persona, soprattutto i rapper, rispondono alle domande con sincerità. Ho seguito molte tue interviste; voi artisti sicuramente la verità la dite all’interno dei testi e tu scrivi con verità assoluta, sembri molto sincero. Che cosa ne pensi riguardo alla prima affermazione. Secondo te è vero che durante le interviste gli artisti mentano oppure è solo un semplice punto di vista?

Questa è un’altra domanda molto interessante!
Io penso che viviamo in un periodo storico in cui non c’è molta obiettività nel giornalismo di settore. Credo che, in primo luogo, il ruolo che svolgono i media di settore comprometta molto la sincerità quando si parla con un artista. Adesso è tutto dettato dal “parlare bene dei dischi”, cercare sempre di essere dei perbenisti. Questo, secondo me, influenza molto il modo di porsi da parte degli artisti con i giornalisti. Non so se è nato prima l’uovo o la gallina, però ti posso dire che c’è qualcosa che non va nel giornalismo di settore in Italia in questo momento. Oggi, in un’altra intervista, ho proprio detto questo: le persone che scelgono di intraprendere una carriera nel settore giornalistico della musica devono stare molto attente a non pestare delle merde. Quindi non è neanche colpa del giornalista stesso, ma del sistema che si è creato intorno ad un perbenismo di plastica che prevede che non si possa stroncare nessun disco, che non si possa parlare liberamente con un artista, o che sia tutto dettato dal “no, facciamo così, perché io mangio, tu mangi… tu fai la promo, io porto a casa l’articolo così l’etichetta è contenta, il manager è contento”. Quindi secondo me è cosa a dir poco grottesca.

La comprendo benissimo questa cosa, perché io vorrei creare una condizione in cui ci sia
totale libertà tra me è l’artista e mi trovo in difficoltà. Vorrei fare delle domande più interessanti, entrare nel vero dell’artista e della persona.

Poi dipende sempre dal fatto che si pongano delle domande intelligenti, allora si, però c’è questo
problema. Secondo siamo arrivati ad un punto in cui questa roba è veramente tastabile e palese.

Credo che lo scopo non sia per forza rendere piacevole un artista agli occhi della gente, se ci sono delle discrepanze è giusto farle notare. L’intervista serve anche a questo.

Certo, l’intervista serve anche a far conoscere meglio una persona oltre all’artista. Sono d’accordissimo.

Io sono una fan di Kaos, lo sai, ciò che me lo fa amare, oltre al suo modo di comunicare, è anche la sua estrema coerenza che lo ha portato a mantenere una sua integrità morale. Anche tu sei cosi, da quello che traspare da tutto ciò che fai, ma quanto è difficile essere coerenti e fedeli a se stessi nell’ambiente Hip Hop italiano senza risultare un clichè?

E’ molto difficile, perché in primis tu ne paghi il prezzo in prima persona, specialmente dopo tanti anni. Quest’anno Il cuore e la fame fa 10 anni e possiamo dire che sono proprio dieci anni che io faccio questa cosa a determinati livelli. Quello è stato un disco che ha segnato un punto “della mia carriera”; questa cosa è estremamente complicata perché poi la comprensione di terzi arriva sempre fino ad un certo punto. Le persone ti capiscono e ti ascoltano finché ne hanno voglia, finché vivono un periodo della loro vita in cui si rispecchiano nella tua musica, poi la vita delle persone va avanti, la nostra vita va avanti, ma è sempre scandita dal percorso artistico. E’ molto facile che si creino dei cortocircuiti, anche emotivi, da parte di un artista nei confronti di quello che è la percezione degli altri. Quindi, spesso la coerenza quando non viene capita o espressa male, perché molte volte l’ho espressa molto male, diventa più una croce che una benedizione, capisci? E se nell’arco del tempo l’artista riesce in qualche maniera a coinvolgere ancora il pubblico allora forse ha vinto, forse! Però non è detto, è il lancio di un dado ed è un’incognita.

Brutalmente, Kaos l’ha ascoltato il disco??

Certo!

Cosa ne pensa?

Io non voglio sbilanciarmi troppo, ti dico solo che Marco ha ascoltato il disco prima che uscisse e ha approvato tutto! Non mi sbilancio, ma abbiamo avuto uno scambio di e-mail; ci conosciamo da tempo e io gli voglio tanto bene e spero che lui lo sappia, credo che l’abbia capito quanto bene gli voglio umanamente.

Io ci ho parlato qualche volta, tutti i miei preconcetti su di lui sono crollati, ho avuto l’impressione che, magari, per non offendere menta, chiaramente non credo l’abbia fatto in questo caso. Ricevere un omaggio da parte di un altro artista fa sempre piacere.

Dal profondo del cuore spero di si, poi dipende sempre chi lo fa questo omaggio. Io credo che abbia capito, ha ascoltato bene il disco e ha capito. Lui e anche Craim.

A me piace ascoltare i dischi appena usciti in macchina; guido, metto su il disco, di recente l’ho fatto con il tuo, ho viaggiato per ore a Milano di notte, senza semafori…

“Navigherò la notte”, come diceva qualcuno…

Si, per ascoltare i dischi la macchina è perfetta, perché sei in un flusso di coscienza particolare, stai lì e i tuoi pensieri si stoppano lasciando spazio alle sonorità e ai testi, soprattutto. A metà disco ho pensato “cazzo, ma è tutto vero”, ci son delle tracce in cui tu sputi merda, dici troppe verità: sui rapper, sulla scena, su Milano. E ho proprio pensato che questo disco non si sarebbe dovuto chiamare Bellissimo, ma Tutto Vero!

O Verissimo!

Nicolás è più personale, ma in questo disco ho percepito proprio quella voglia dire le cose come stanno. Quanto è difficile nel rap italiano non fare nomi e cognomi??

Guarda, ti rispondo in un’altra maniera… sotto alcuni aspetti è una scena molto piccola, per cui ci si conosce talmente tanto che si arriva a sapere molte cose sugli altri. Quella di tenere quel minimo di anonimità, ad un certo punto, diventa semplicemente una questione di “eleganza”.

Quindi, quel lieve rispetto a livello umano, del tipo “son bravi ragazzi alla fine”…

Si, c’è quella linea che demarca la poca signorilità, secondo me, almeno nel mio caso. Tuttavia, chi sente le rime lo capisce, anche se spesso accade che si sentano toccate le persone sbagliate. Alla base la risposta è che da parte mia cerco di darmi comunque un tono. IO sono molto chiaro però…

E’ che forse poi si ricade sul discorso che facevamo prima sui giornalisti. Questa cosa del finto rispetto l’avete un po’ creata voi, quindi pestare una merda è facile. Magari il giornalista si adegua e preferisce non fare domande invadenti per non avere risposte negative…

Brava, quindi è nato prima l’uovo o la gallina?

Chapeau!
“ E’ dopo i primi quattro dischi che si vede l’andazzo”… Dopo 21 dischi, considerando tutti
gli EP, mixtape ecc. Com’è l’andazzo?

Siamo qua! L’andazzo è che non si torna indietro e… siamo qua!

Domanda marzulliana: Qual è il tuo pezzo che reputi non sia stato capito, o ti è mai capitato
di non rispecchiati più in una canzone che hai scritto in passato?

Si, mi è capitato.
Questo è uno dei pochi dischi in cui so che, senza ritoccarlo, fra dieci anni non mi vergognerò di riascoltarlo. In realtà solo per la tonalità di voce che avevo in molti dischi fa… urlavo troppo, mi sto sul cazzo, non riesco a sentirmi. Di fatti ci sono svariati pezzi dove credo che avrei potuto dire le cose in una maniera completamente diversa e arrivare lo stesso allo scopo finale. Comunque, nonostante ciò, sono arrivati, però sono tantissimi i brani…
Ti dirò che quasi non mi rispecchio in tutto Il cuore e la fame.

Capita spesso nella carriera di un artista, non solo nella musica, anche nell’arte, di rinnegare un’opera a distanza di anni. Credo sia una cosa normale. La mia professore di Terapeutica Artistica mi diceva sempre di non buttar via i lavori che credevo fossero brutti o sbagliati, poiché era come rinnegare un figlio, una propria creatura. Questa cosa mi faceva sentire a disagio, perché mi rendevo conto che forse non ero una vera artista.

Tipo “ non ho quello che serve per arrivare a”…

Esatto, magari rinnego quello che ho fatto consapevole che, nel momento in cui l’ho creato, mi è piaciuto, ma ora è giunto il tempo di metterlo da parte. Magari questo percorso, queste sensazioni, le provate anche voi con i testi.

Si, capita, però io quello che inizio finisco!

Non fai parte della corrente del “non finito di Michelangelo”?

No, mai!

Però c’è sempre da parte dell’artista quella scelta di scartare il vecchio, rinnegare il passato.
Da parte mia è una condizione che mi dà molta pesantezza, salvo alcune occasioni.

Nicolás è disco troppo personale, troppo doloroso, non riesco a riascoltarlo. Invece quest’ultimo disco, come ti dicevo, lo potrei ascoltare anche in futuro senza sentimi a disagio.

In alcune interviste passate hai detto che Nicolás è un disco autobiografico che prima o poi avresti dovuto fare, un punto di arrivo per autoaffermarti.

Si, esatto, brava. E’ quel disco che non avresti voluto fare, che però ad un certo punto della carriera fai! Io quando scrivo butto giù tutto quello che sento, per questo Nicolás mi pesa un po’.

Un mio dubbio personale, ascoltando Bellissimo, ho notato una certa continuità tra alcuni brani e il beat viene ripetuto con una leggera variazione. E’ solo una mia percezione o è stata una cosa voluta?

Riguardo a questo vorrei citare Sick Budd, perché è una cosa che ha detto lui, che condivido appieno, ovvero: adesso la percezione della musica è cambiata. Ti faccio degli esempi: se tu senti Temples of Boom che è il terzo disco dei Cypress Hill, al quale io sono molto legato, oppure Hell On Earth dei Mobb Deep, sono dischi che hanno le batterie che son tutte uguali, i BPM son tutti uguali, le atmosfere son tutte uguali. Adesso tutti vogliono le “compile” composte da 12 pezzi nel quale tutte le tracce sono diverse, ma in realtà è una scelta artistica dare una omogeneità al disco e tenerti in quel viaggio.
Se tu senti Temples of Boom, tu sei in quel medesimo viaggio, dalla prima all’ultima traccia, così in Earth On Earth; in Word…Life di O.C. sei in quel viaggio dalla prima all’ultima traccia; se tu senti Enta Da Stage dei Black Moon, lo stesso. Questa cosa un po’ si è persa per N motivi. Pero è una cosa che Gioielli, ad esempio, sta facendo. Lui ha una sua metodologia di campionare e segue delle atmosfere all’interno di tutti i dischi. E’ una roba che un po’ si è persa a causa del digitale. Questa cosa l’hai notata appunto perché è stata voluta.

Un po’ come in Adversus dei Colle, che parte con il fischio di richiamo nella prima traccia e si conclude col medesimo fischio. Invitando l’ascoltatore a seguire l’ordine delle tracce ma è tutto un divenire continuo.

Certo, ovvio, assolutamente. E’ un concept album.

Ti senti di essere il portavoce della tua generazione che si nutre di “fastidio”?

Io non so quanta gente della mia generazione apprezzi o ascolti ancora il rap. Romanticamente ho sempre voluto ambire ad essere il portavoce di una generazione.

Questa cosa un po’ ti divora dentro?

Si certo, il pensiero che mi viene in è mente è “ma non mi vedi? Sono qui e sto facendo delle cose”. Siamo rimasti in pochi a fare parte di questa generazione di mezzo che è rimasta schiacciata tra le Major del 2006 e la Golden Age (del ‘98). C’è questa sorta di rabbia… quando noi abbiamo iniziato a rappare non avevamo l’ambizione del successo e dei soldi, noi volevamo solo rappresentare. Il concetto del rappresentare è molto importante, perché questa parola è quella con la quale siamo cresciuti; e rappresentare significa raccontare un genere musicale agli esterni; rappresentare quelle persone che non hanno voglia o la voce e, ad alti livelli, una generazione di artisti. Quindi ti dico si, assolutamente!
Rappresentare queste cose è sempre venuto prima, purtroppo, della fama e dei soldi. Se io avessi ragionato e agito diversamente, magari avrei smesso molto prima, perché poi quando te la giochi non puoi tornare indietro. Invece a cuore aperto ti dico che la mia priorità è sempre stata quella di rappresentare delle cose e delle persone.

Questa è un’altra domanda marzulliana, vorrei che tu rispondessi sinceramente. Nicolas, a prescindere da Egreen, ha mai avuto un grandissimo rimpianto nella sua vita?

Si, il più grosso rimpianto è quello di non essere mai stato in grado di capire l’importanza dell’istruzione. Ho avuto un percorso di studi tragico ed il mio grande rimpianto è sempre stato quello di non aver avuto una formazione accademica. Io ho fatto mille licei, mille scuole, ma rimpiango di aver buttato via degli anni. Sotto certi aspetti rispecchio davvero la “favola del rapper”, non so quanto durerà. Io sono un disadattato, andato vi di casa molto presto, a 18 anni, non ho finito la scuola, ho fatto mille cazzate,
dipendenze, dentro, fuori. Non sono mai stato un disciplinato: deficit dell’attenzione, problemi con
le autorità, inteso, non mi sono mai piegato, mai! Succede che alla fine la vita queste cose te le fa pagare tutte. Una cosa alla quale penso spesso è: se io avessi finito la scuola, magari non avrei scritto nemmeno una rima.

E magari non sarebbe esistito Egreen…

In una maniera estremamente frustrate, ritornato dalla Colombia, mi sono posto svariate domande riguardo la mia vita personale e sentimentale, mi sono reso conto che, in fin dei conti, non posso scappare da quello che sono. Ogni volta che sono solo mi pongo molte domande, dalla più futile alla più importante, però alla fine arrivo sempre alla conclusione: se io non avessi attraversato certi stati emotivi non sarei mai arrivato a certe consapevolezze.

Qual è la domanda che nessuno ti ha mai fatto ma che avresti voluto ricevere?

La so!
“Perché fai il rap qui e ora?”
Perché la mia è una delle più grandi storie che siano mai state raccontate in questo genere musicale,
in Italia.

Bellissimo!

Claudia La Disagiata

Claudia Sciacca Aka La Disagiata, nasce a Catania sotto una buonissima stella del Leone. Cresce grazie al buon cibo siculo che le donano bellezza e cultura. Figlia di due medici, si occupa fin da piccola dei problemi altrui, dedicandosi ai rapper della propria città come una psicologa, perché “stanno malissimoh“. Si laurea all’accademia di Belle Arti di Brera grazie alla formidabile venerazione per tutti i santi che cita durante le giornate più dure. Vive a Milano con molta fatica perché fa diversi lavori, ma sicuramente non ha un lavoro serio. Scrive per ritrovare l’orgoglio smarrito” come Mària de Il divano scomodo di Maccio Capatonda.

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