VLAD: Dalle Battle al Mixtape – Il Freestyler che Porta l’Est nel Rap Italiano

Vlad è un rapper italo-bielorusso che si è fatto conoscere dal grande pubblico grazie alle battle di freestyle. L’artista, infatti, si è avvicinato alla cultura hip hop proprio come freestyler.
Dal 2023 fa parte del collettivo Dojo, una crew fondata da Grizzly. Vlad si distingue per alcune caratteristiche uniche: una delivery potentissima e una tecnica di base solida e impressionante.
Il suo stile è un connubio avvincente di flow e punchline, che rende ogni esibizione un’esperienza intensa. Oggi Vlad ha deciso di mettersi in gioco anche sul piano discografico, con un progetto che certifica il suo talento nella scrittura e nella costruzione di rime.
Il suo primo mixtape si intitola EST TAPE VOL. 1. Il titolo è una chiara rivendicazione delle sue origini dell’Est, ma ciò che emerge con forza all’interno del disco è il suo autentico amore per la cultura hip hop. Vlad rappa con uno stile diretto e una caratura tecnica decisamente superiore alla media. Ascoltare per credere.
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistarlo, farci raccontare l’album e scoprire alcune chicche interessanti sul progetto.
Ciao Vlad e benvenuto! EST TAPE VOL. 1 è finalmente fuori!!! Mi racconti le esigenze specifiche che ti hanno portato a creare il progetto e quale è l’obiettivo che ti sei prefissato con questo lavoro?
Da quando mi sono trasferito in Italia, a 13 anni, ho sempre fatto rap: è stata una passione immediata che mi ha dato tanto, considerando che ho iniziato quando ancora non parlavo praticamente la lingua.
Nel periodo tra il 2023/2024 ho accelerato tanto col freestyle, ho fatto tanti palchi, ho vinto molte battle importanti che mi hanno permesso di realizzare alcuni dei miei sogni adolescenziali, come andare a Radio Deejay o partecipare ad una puntata a One Take.
Ho sentito di dover rimettere al pari passo il mio percorso con la musica. Ho ripreso a pubblicare regolarmente con l’obiettivo di raccogliere poi le canzoni in un tape finalizzato proprio a coronare tutto questo percorso e che desse, in qualche modo, un inizio con cui approcciare la mia musica, la mia storia e le sue evoluzioni future. Voglio fare un percorso solido, step by step.
Ho adorato il tape anzitutto per il randagismo che si percepisce e la delivery street intrisa di credibilità. La tua è vera essenza hip hop. Cosa significa esattamente per te Vlad il rap?
Sentire queste parole mi gioisce molto e allo stesso tempo mi fa sorridere pensando a questi anni. Io non ho mai sventolato, come molti nell’underground, la bandiera dell’hip-hop facendo un rap che si parla addosso. Non ti nego che da ragazzino mi sentivo quasi escluso dall’ambiente underground, come se non mi avesse mai riconosciuto fino ad un certo punto di questo percorso.
Il rap è sempre stato qualcosa di intrinseco alla mia vita. Sono arrivato come tanti ragazzi in Italia trovandomi a dover imparare una nuova lingua, una nuova cultura che, nel mio caso, era molto diversa dalla mia, considerando che sono nato in un villaggio di trecento persone scarse in Bielorussia. Ho iniziato a fare il rap forse un anno dopo essere arrivato, mi sono buttato nel freestyle con cento parole di lessico e tanta voglia di assorbire il più possibile.
Tutta la mia cultura generale è partita dai riferimenti che trovavo nei testi rap, i miei film preferiti, il modo di interpretare la vita, di comprendere le prime emozioni forti di un adolescente, di non arrendersi quando intorno hai solo miseria e problemi che sembra non avesse nessuno a parte te. Tutto questo e tanto altro è arrivato grazie al rap.

Molti trapper si fanno il viaggio da criminale, ma non sanno scrivere. EST TAPE VOL. 1 conferma che la tua penna è un cecchino dal calibro pesante. Si nota un certo tipo di cultura, lo studio e la ricerca nei vocaboli. Come ceselli i testi Vlad?
Sono molto lento a scrivere talvolta. Posso scrivere un pezzo in dieci minuti o in tre mesi, non ho mezze misure. Ho un forte senso del “è stato già detto”, “questa cosa non suona”, “questa cosa non funziona”. Non lascio troppe cose al caso.
Scrivo finché dentro di me sento che ogni tassello di una canzone ha preso il posto giusto, di essere soddisfatto di ogni passaggio. Devo stupirmi io per primo.
Senza negare il fattore dell’ispirazione che fa in modo che il tuo inconscio parli per te. In quei momenti provo di scrivere in automatico, senza pensarci troppo, finché non noto che questa cosa ha riportato a galla un’emozione forte ed importante, che magari fino a quel momento ignoravo di sentire. Vale sia per i pezzi conscious che per i banger.
Ascolto il tuo rap e il primo riferimento che mi salta in mente è nonno Kuzja nel monologo di Educazione Siberiana mentre riferisce a Kolima che bisogna avere rispetto di tutte le creature viventi, eccetto che per un certo tipo di potere, ma allo stesso tempo lo avverte di mantenere intatto il cuore: una roba veramente hip hop. Ti senti identificato da questo accostamento Vlad?
Assolutamente! Credo che, se dovessi riassumere tutte le canzoni con una frase, direi “puoi farcela!”. Ho sempre cercato di dire a me stesso e agli altri che, se nasci in una classe sociale più bassa della media, hai vestiti più brutti degli altri, non puoi permetterti certe cose, ti sembra sempre che gli altri sono stati più fortunati etc. non è finita, anzi. Puoi avere tanto alto ed esserne inconsapevole.
Mi fermo sempre a parlare coi ragazzi, cerco di motivarli a percorrere la propria strada e non vedere i limiti nelle cose perché, talvolta, il capitale umano vale più di quello economico.
Soprattutto nel campo creativo. Naturalmente sarei un illuminato se riuscissi a pensarla sempre così. L’altra faccia della medaglia di questa accettazione di sé stessi è il completo rifiuto per tutte le dinamiche che oggi vengono imposte.
Tanta gente è fuori strada, frustrata perché non riesci a tenere il passo con il modello dominante che impone un certo life style da trasmettere nel proprio immaginario. Cosa che nel rap ci è sempre stata ma prima era un modello di rivalsa, un grande archetipo del codice del rap: “prima non avevo nulla, adesso guarda quanti soldi”.
Sacrosanto. Era finalizzato a dire “puoi farcela anche tu, credici”. Adesso quel “puoi farcela anche tu” sta man mano scomparendo. Anche se, in tanti nuovi artisti, questa affermazione sta ritornando. È tutto ciclico, d’altronde.
Vlad, in un brano del tape affermi: “ appena la Major chiama, chiamo l’avvocato così insieme ci fumiamo l’avviso di sfratto”. Cosa pensi dell’industria musicale odierna e delle multinazionali che la gestiscono?
Penso che ne sono ancora a debita distanza per poterla comprendere a pieno. C’è anche da dire che frequento altre scene, non solo quella del rap che ad ora è frustrata perché vedono solo il percorso: droppo, firmo, svolto.
Ho tanti amici che fanno generi differenti, che hanno la visione della gavetta, del percorso solido e, soprattutto, nel crescere proprio come autori delle canzoni, dalla produzione alla parte tecnica.
Questo mi ha dato una grande prospettiva del percorso. Ci sono tante possibilità e strade meritocratiche per farcela. Devi fare musica, uscire di casa, girare ed avere una visione chiara del proprio progetto. Poi, per la barra che hai citato, appena succede lo farò davvero.

Nel tape si esalta un certo tipo di povertà. Il disagio diventa riscatto sociale, ma anche arte e creatività. La metafora è il loto che fiorisce dal fango. Perché molti artisti continuano a flexare e ad ostentare, sputando su una cultura che proviene dal ghetto e ha dei codici specifici? È più colpa del pubblico, degli artisti o dell’industria? Qual è il tuo pensiero Vlad?
Secondo me è il modello culturale, non è colpa di nessuno, siamo figli del nostro tempo. Prima la musica sembrava più impegnata perché l’ambiente era più impegnato viste le urgenze del momento e delle ferite fresche provenienti dal XX secolo.
Adesso, dopo una relativa pace, ci siamo concentrati sull’intrattenimento, sul vuoto generale che ci circonda, credendo che il materialismo e il consumismo fossero una risposta sufficiente.
Se ascolti oltre il rumore di fondo, fatto ancora di apparenza materiale, sentiamo solo parlare di ansia e di incertezza generale. Secondo me assisteremo ad un cambiamento graduale anche nel rap, considerando la piega più testo-centrica che sta prendendo rispetto già a cinque anni fa.
Una continua evoluzione che si mantiene al passo con il proprio tempo e considerando il futuro imminente non proprio roseo a cui stiamo per assistere, spero che la musica riesca a dargli un’interpretazione giusta, capace di ispirare gli altri alla rivalsa.
Contenuti di un certo tipo esaltano le tue qualità. Mi racconti un po’ la tua storia? Hai vissuto situazioni al limite? Vlad, quanto la tua penna si basa su ciò che hai vissuto o osservato?
Fino ai tredici anni sono cresciuto, come ho menzionato prima, in un piccolo villaggio in Bielorussia. Quasi alla John Wick. Mi sono trasferito con mia madre a Salerno, dove poi sono cresciuto. L’amore per il rap è stato immediato, sono partito da quello russo scoperto per puro caso. Ho iniziato un anno dopo con il freestyle, vedendo un ragazzino farlo in un parchetto e “sfidandolo”, senza averlo mai fatto prima di quel momento e non sapendo quasi parlare italiano.
Persi maledettamente e la gente, giustamente, urlava per lui. Mi sono messo l’obiettivo di tornare e batterlo. Dopo qualche mese, ci riuscì. È stato un combustibile forte.
Non c’era altro in cui io potessi eccellere. Famiglia umile, vestiti del mercato, a scuola zoppicavo molto perché dovevo imparare la lingua in primis. Mi ricordo che partivamo dalle periferie, in blocco, per andare a sfidare quelli “agiati” del centro e ci prendevamo tutto, il rispetto e le grida della gente. Anni particolari. Ho sempre scritto anche strofe, in modo spontaneo ma meticoloso.
Tutto è cambiato quando ho conosciuto Rough, il produttore di tutto il progetto, che mi ha cambiato la visione, mi ha fatto credere in me stesso e ha apportato un upgrade significativo, dandomi un metodo, uno studio e soprattutto l’attenzione e il dare importanza all’estetica del tutto.
Un progetto come il tuo dovrebbe spaccare le classifiche ed esaltare una generazione di giovani, assuefatta da una musica che la ipnotizza e la strumentalizza. Cosa manca all’Italia per fare un salto di qualità da questo punto di vista?
Credo che questo progetto sia il primo step per conoscermi. Ho voluto proprio raccogliere quello è che stato quest’anno. Ho voglia di allargarmi con le prossime uscite che hanno la stessa caratura lirica ma già un lavoro diverso sulle produzioni e i ritornelli.
Perché vengo da un amore totale per il rap e ascolto ogni sua sfaccettatura: da piccolo ascoltavo Kendrick, Club Dogo, Co’Sang, Drake, Ghemon, Dargen, Kaos One, rap russo, francese, tedesco, pop russo degli anni ’90 etc. Ho voglia di esprimermi in tutte le mie sfumature ma in un modo coerente e graduale.
All’Italia manca solo interiorizzare il genere, sta crescendo ora una generazione che probabilmente avrà come padri coloro che hanno ascoltato il rap per tutta la loro vita.
C’è tanta cultura da essere trasmessa, un genere che entrerà nel DNA generazione e man mano lo si capirà del tutto. Poi sono della filosofia che, se dai il massimo di te stesso, la tua musica emoziona e hai una visione – per forza di cosa ci arrivi al traguardo.

Questa critica musicale assoggettata dagli uffici stampa si concentra sul marketing e sulle promo, concedendo troppo poco spazio agli artisti underground meritevoli come te. Quanto è tossico questo atteggiamento? Cosa si può fare per apportare un cambiamento significativo?
Ti dirò: dipende dal campionato in cui giochi. Ho sempre visto due strade: la viralità e un percorso graduale. La viralità ha determinati canoni da rispettare e tantissime dinamiche a cui bisogna approcciarsi per raccoglierne i frutti. Perfetto.
Un percorso graduale è meno stimolante, ha meno feedback dopaminico, devi starci appresso molto, conquistandoti ogni singolo micro-risultato soltanto con le tue forze. Prima o poi qualcosa si muove, seppur lentamente.
Bisogna capire chi sei e qual è la strada che devi percorrere, cosa ti sta bene addosso e cosa no. Secondo me le cose non funzionano soltanto quando la tua musica non emoziona le persone e quando ad un certo punto, per te o per fattori esterni, ti arrendi sulla strada perché è anche vero che non sempre c’è la possibilità di perseguirla in eterno. Il limite che mi sono dato è finché non darò il massimo.
“Il rap di oggi dice un cazzo/il più innocuo come genere/ fanno i video in piazza/il più criminale è il manager”. Perché nel tempo si è protratta questa pagliacciata?
Ho scritto che il rap è il genere più innocuo quando ha smesso di trasmettermi determinate cose. Credo che ad ora, figlio dei suoi tempi, stia perdendo un determinato tipo di coscienza personale e sociale. I rapper hanno paura di mettersi davvero a nudo, rincorrono il finto lusso e parlano tutti la stessa lingua.
La verità è che non saranno in centomila a farcela, visto che sono uguali e uno vale l’altro. È una cosa che ci è sempre stata, ci si ispira alle cose che funzionano. Questo accade perché non si ha una visione del proprio percorso.
Sono fermamente convinto che il nuovo mondo dovrà essere interpretato, tutto il cambiamento sociale e culturale che sta avvenendo in questi anni, ad un certo punto, dovrà essere espresso. Chissà se il rap sarà in grado di intercettarlo.
