William Pascal torna con “Timeless 2”: tra true school, glitch e fantasy urbano

William Pascal è tornato. E lo fa con un album che ha tutto il sapore di un ritorno a casa, ma con le cicatrici e le consapevolezze di chi ha camminato a lungo.
Timeless 2 è, infatti, molto più di una semplice continuazione del primo EP del 2014: è un manifesto personale, un tributo al rap italiano e un atto di resistenza culturale. In un’epoca dove spesso contano più i numeri degli intenti, William racconta il suo mondo con lucidità e passione, tra fantasmi interiori, glitch digitali e poesia metropolitana.
Lo abbiamo incontrato per parlare di musica, scelte coraggiose e cosa significa oggi essere davvero “timeless”.
“Timeless 2” è una reprise del tuo EP del 2014: cosa ti ha spinto a tornare proprio a quel punto della tua carriera? Cosa hai trovato lì che avevi bisogno di rielaborare oggi, a 30 anni?
Lì c’è un po’ tutto per me. Da qualche anno, probabilmente dalla pandemia ma in parte anche da prima, ha iniziato ad aleggiare nella mia testa un certo senso di nostalgia, legato proprio a quel periodo in cui facevo tutte le mie prime esperienze: ero appena entrato in Do Your Thang, facevo i miei primi live fuori Roma, uscivo finalmente dall’incubo della scuola e vivevo la mia prima relazione seria …
Oggi vedo che tutto è cambiato: viviamo e pensiamo in modo diverso, la musica esce diversamente e la si ascolta diversamente, le relazioni sono diverse, ecc.
Vedo intorno a me un mondo assai diverso e proprio per questo ho sentito il bisogno interiore di andare a recuperare un po’ di energie, emozioni e stimoli da quegli anni di fuoco, con la consapevolezza e la maturità di oggi. Inoltre c’è un collegamento prettamente sonoro per il quale sono voluto tornare su sonorità più classic e immortali, dopo aver sperimentato tanto negli ultimi anni tra rap francese, autotune, mixtape e concept ep. Il suono “timeless” è inconfondibile: non è pop, non è urban (…), non è quello che senti oggi al 99%.
Nel disco traspare un profondo lavoro introspettivo. In un’epoca dove il rap spesso premia l’estetica sopra l’etica, pensi che ci sia ancora spazio per questo tipo di narrazione emotiva?
Per quei pochi che la cercano ancora, sicuramente! Oggi purtroppo la soglia dell’attenzione è ai minimi storici, ma la mia attitudine è questa e volevo ribadirlo con questo progetto. Non volevo fare una cosa alla moda né seguire il trend del momento. Timeless 2 è fuori tempo, fuori mercato e proprio per questo spero sia l’occasione giusta per accogliere un qualcosa di diverso, di più etico e meno estetico, di più comunicativo e meno superficiale.

Hai scelto di avere pochissimi featuring, tutti in famiglia. William quanto conta per te oggi il senso di squadra e appartenenza alla DYT rispetto a un mercato che premia collaborazioni “furbe” o strategiche?
Ho conosciuto artisti più “famosi” dei miei compagni DYT con cui negli anni avrei anche potuto collaborare, tuttavia ho sempre scelto le collaborazioni per stima reciproca e stretta connessione. In un progetto così introspettivo non potevo chiamare gente con cui non ho una reale e solida intesa, per questo ho deciso di coinvolgere solo i miei colleghi più vicini e storici ovvero Pacman XII (il primo rapper in assoluto con cui mi sono confrontato e con cui ho percepito una potente alchimia artistica) e Jekesa (che invece non chiamavo su un mio disco da 10 anni, ma con cui ad esempio ho realizzato diverse combo importanti su Gang Theory). Anche la selezione dei beat è stata naturale, in base al mio gusto e alle persone più artisticamente vicine a me.
Con Rare hai creato una tua realtà indipendente tra musica, videogame e merch in edizione limitata. In che modo pensi che l’indipendenza creativa ti abbia premiato (o penalizzato) finora, anche in termini di numeri e visibilità?
Penso che mi ha sia premiato che penalizzato perché, me ne accorgo sempre di più ogni progetto che esce, fare le cose da soli è davvero difficile. Ormai pubblicare musica non significa solo scriverla e registrarla, ma vuol dire anche distribuirla, promuoverla, comunicarla, venderla. Ogni volta imparo qualcosa dai miei errori e ogni volta cerco di fare meglio.
Sicuramente aver completato questo ennesimo progetto da indipendente è stata una grandissima soddisfazione personale e sono davvero contento per il percorso fatto finora, anche se ovviamente mi piacerebbe avere un team affidabile che mi aiuta, che cura le mie lacune e che alleggerisce tutto il lavoro che c’è dietro.

William nel tuo percorso si mescolano fantasy, glitch videoludici e riferimenti colti: credi che l’immaginario personale sia oggi un’arma o un ostacolo in un’industria che tende a livellare tutto verso l’algoritmo?
Beh, io sono totalmente fuori dall’algoritmo: non esisto proprio secondo lui! Da quando distribuisco da indipendente non sono mai entrato in nessuna playlist editoriale, nonostante siano uscite tante canzoni valide.
Negli anni attraverso i miei riferimenti e il mio immaginario sono riuscito a creare uno stile autentico e quindi la considero un’arma, poi il resto sono paranoie che non fanno neanche bene alla musica. L’algoritmo concettualmente è un danno perché appiattisce tutto più o meno allo stesso pezzo, allo stesso format e quindi alla stessa cosa. Io faccio “la mia cosa”, che è un’altra cosa, ha un’altra forma. Dovessi stare a guardare i numeri starei in depressione costante.
William, se potessi scegliere un solo brano di “Timeless 2” da far ascoltare a chi non ti ha mai sentito, quale sceglieresti e perché? Cosa racconta di te più di tutto il resto?
Probabilmente farei ascoltare “True School”, perché anche se non credo che sia il brano migliore del disco, è probabilmente quello che racconta di più il mio background e il mio amore verso questa musica e questa cultura.
Però è difficile, sono molto legato a “Risorgendo J Dilla”, a “Goddamn” e anche all’intro e all’outro, che sono due perle incredibili realizzate entrambe con Clas K. Nella versione fisica sono presenti anche due bonus track e una di queste è la versione remastered di “20 proiettili”, che è un altro pezzo al quale sono particolarmente legato.
Dopo oltre 10 anni di “militanza” nella scena, c’è un momento in cui hai davvero pensato di smettere? E cosa ti ha convinto a continuare fino a questo disco William?
Anche se ho avuto alcuni periodi critici in termini di scrittura e creatività, non ho mai pensato di smettere perché scrivere e performare live sono le cose che più mi fanno sentire vivo e più mi danno la possibilità di comunicare. Anche se negli anni ho accumulato tante delusioni, scrivere resta una necessità e il palco resta il mio habitat.
