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E’ tollerabile picchiare un fan durante un live?

Jamil, Fabri Fibra, Sfera Ebbasta ed Achille Lauro sono alcuni tra i tanti artisti protagonisti di episodi violenti avvenuti durante le loro esibizioni.

Mi sono ritrovata molte volte a scrivere di rappers che tirano ceffoni al pubblico o di “haters” che durante un concerto assumessero atteggiamenti violenti (sia verbali che non), nei confronti degli artisti che si stavano esibendo sul palco, mi chiedo dunque se questo tipo di atteggiamenti stiano diventando la prassi.

Sappiamo tutti che viviamo in un mondo violento: un missile sparato su un ospedale quasi non fa più notizia, ma parlare di violenza (anche verbale), quando si tratta di musica è un’altra storia.

L’ultimo episodio è avvenuto a Martina Franca (TA), dove Jamil ha tirato un “sonoro ceffone” ad un ragazzo del pubblico solo perchè indossava una felpa della Propaganda.
Capisco l’antipatia che intercorre tra Noyz Narcos ed il rapper veronese, ma utilizzare la posizione di favore (quella di un palco) per fare il bullo è davvero una cosa che fatico comprendere.

Certo, anche chi assiste ai concerti spesso si lascia andare ad atteggiamenti da branco (gli insulti indirizzati a CRLN ne sono un esempio), ma tirare bottiglie o fare il dito medio ad un artista durante una SUA esibizione, è un modo davvero strano per dimostrargli il proprio disprezzo.

Qui però devo fare un’importante distinzione tra gli haters e gli artisti stessi.

Parlo prima degli haters, che sono quelle persone frustrate che non hanno di meglio da fare se non recarsi al concerto di chi “odiano” per dimostrargli tutto il loro disprezzo: d’altronde quale miglior modo se non pagargli il cachet con il prezzo del biglietto e riempire il parterre?
Gli haters sono sempre quelli che lanciano bottiglie sul palco rischiando di ferire seriamente anche chi in quel momento vorrebbe solo passare un paio d’ore di svago ascoltando l’artista che amano.

Queste persone sono le stesse che riempiono di insulti le pagine social degli artisti, quelli che da dietro uno smartphone si sentono più realizzati di chi sale su un palco o di chi si chiude in sala di registrazione per mesi.
Sono “persone”, che hanno seri problemi cognitivi e che non comprendono una cosa semplicissima: se qualcosa non ti piace puoi ignorarla”.

Un altro discorso però è rappresentato dagli artisti che si lasciano andare ad atteggiamenti violenti nei confronti degli stessi haters (che sono dei poveracci, come direbbe Martina dell’Ombra), o di fan che hanno scelto la felpa sbagliata per andare al concerto.

Capisco che ricevere insulti non è bello e che riceverli anche dal vivo, oltre che sui social, non deve essere facile, ma chiunque sale sul palco dovrebbe sapere (e qui scendo in una banalissima retorica), che in quel momento non rappresenta solo se stesso, ma un’intero staff che lavora ANCHE per lui/lei.

Nel momento in cui un artista da uno schiaffo ad un ragazzo del pubblico a rimetterci non è solo la vittima del gesto, è anche la label, il locale, l’organizzatore, il manager e tutti quelli che hanno lavorato duramente per realizzare l’evento.

Un danno d’immagine che però non sembra preoccupare troppo, visto che la violenza sembra essere diventata il brand che contraddistingue il rapper “figo”, quello che non la manda a dire, quello che non si tira indietro se c’è uno schiaffo da tirare; perchè lui è un duro, lui non ha paura di “uno sfigato che lo sfida”.

Questo atteggiamento a me preoccupa seriamente perchè un rapper “figo” e che “non la manda a dire”, per me è quello che chiude una barra di freestyle di livello, quello che utilizza vocaboli che non riuscirei mai a pronunciare a quella velocità, quello che è un maestro, oltre che di cerimonia anche di liriche.

Ovviamente il problema della violenza non è da ricercare solo nell’hiphop e non è un problema circoscritto a tempi recenti, ma forse, complici i social media, questo tipo di atteggiamenti non sono più condannati come dovrebbero, anzi, vengono tollerati e/o sminuiti.

V

V nasce a Roma e sin da bambina, quando si divertiva a scratchare con gli inconsapevoli vinili di Mina acquistati in gioventù dalla madre, capisce che il suo scopo nella vita è conoscere quanti più suoni possibili (oltre a quello di essere bannata dalle pagine Facebook della Lega ovviamente). Influenzata dalla scena raver dei primi anni 2000 ama il suono della cassa a 4/4 avvolta da un sub sinusoidale. Manager e co-founder de “Il Rappuso”, attualmente lavora come producer e dj.

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