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SK8 POPOLARE, “L’Epilogo sarà il mio ultimo album” – Intervista

SK8 POPOLARE, rapper classe ’79 di Reggio Calabria, pubblica oggi il suo secondo disco ufficiale. Anticipato dai singoli Una Per… uscito nel 2023 e L’epilogo uscito qualche mese fa, il disco, disponibile nei maggiori store digitali e fuori per Rising Time, prende il nome proprio dall’ultimo singolo.

L’Epilogo è un disco rap concepito con standard classici, fatto di rime, scratch, di boom bap, citazioni e numerosi riferimenti all’Hip Hop. Non mancano i pezzi autocelebrativi, i pezzi di protesta e di rivalsa sociale. Momenti più leggeri si alternano a veri e propri flussi di coscienza. L’album, nonostante la sua forte matrice underground, sa però farsi apprezzare da un pubblico più vasto grazie anche a tematiche più riflessive e intime legate all’amore.

Partiamo dall’inizio! Da chi sei e dal tuo nome! Come ti sei avvicinato all’HipHop? Come mai il nome SK8 POPOLARE?

Anzitutto ciao e grazie infinite per lo spazio! Il nome in realtà era solo SK8 (da leggere ESSE KAPPA OTTO) che non è altro che il mio cognome scritto in maniera ”figa” (RIDE. ndr). Lo scelsi a 16 anni e mi è sembrato essenziale e d’impatto diciamo così, anche se molti a prima vista lo confondevano ovviamente con il tag degli skater.

Nel 2016, poco dopo l’uscita del mio primo disco ufficiale “L’unica cosa che ho” e del video del singolo “Popolare”, mi sono trasferito a Barcellona per lavoro e colleghi e amici, hanno iniziato a chiamarmi “Popolare”.  Da lì la cosa è andata fuori controllo al punto tale che ho aggiunto Popolare al nome. Sul come mi sono avvicinato all’Hip Hop, ti rimanderei alla prima strofa de “L’epilogo”: “Avevo 15 anni, cercavo me stesso ogni giorno, il mondo intorno mi sembrava diverso, insoddisfatto e schivo, “diffidente della gente, cacciatore di emozioni con animo indipendente…”


L’Epilogo non è il primo disco che pubblichi. Si tratta del tuo secondo disco ufficiale. Oggi la tendenza è di pubblicare molto. Come mai tu, invece, ti distanzi da questa pratica?

È vero, anche se in realtà ho iniziato nel 2006 con la pubblicazione di vari ep che hanno preceduto il primo album ufficiale uscito dieci anni dopo. Ad ogni modo le risposte sono molteplici: anzitutto sono cresciuto con dei ritmi di uscite discografiche totalmente diversi, passavano sempre 3-4 anni almeno tra un disco e un altro. I dischi forse si apprezzavano di più, si ascoltavano meglio, duravano più a lungo.

Ma soprattutto, sono un artista indipendente, il che vuol dire che non ho alcun contratto vincolante sul materiale da fare uscire, nessuna pressione dalla casa discografica, nessuna fanbase che mi da per morto se sparisco per un po’ di tempo e nessuna necessità di mantenere l’hype alto.  Questa libertà da indipendente, si scontra poi con la vita quotidiana che ti mette davanti a altre priorità, altre scadenze, quelle che poi ti permettono di portare il pane a casa.

Quindi scrivo/produco quando voglio ma anche quando ho tempo. Avrei potuto anche risponderti in maniera provocatoria: non sarà mica sbagliata la tendenza attuale a fare uscire tanto e in poco tempo? E quanti possono permetterselo mantenendo uno standard accettabile? Per citare il Danno “V’ho dato sette anni e non m’avete smosso manco di un millimetro…”

Se prendiamo in considerazione i due dischi, “L’Epilogo” appena uscito, e “L’Unica cosa che ho” uscito nel 2016 quali sono le differenze? Non solo musicali e stilistiche, ma soprattutto se parliamo di te. Come sei cambiato?

“L’unica cosa che ho” è nato dalla voglia di dimostrare a me stesso dopo vari ep e progetti minori, di essere in grado di fare un vero e proprio album, un progetto più corposo con tanto di copie fisiche. E mi sentivo anche pronto a questo passo. Non nascondo che c’era anche una certa aspettativa da parte mia che quel disco potesse arrivare più lontano rispetto a dove poi è arrivato, sempre nei limiti del panorama underground.

Purtroppo è stato un disco concepito a Belfast e uscito praticamente quando stavo per traferirmi a Barcellona, oltretutto in mezzo sono successe anche alcune cose spiacevoli di vita privata, quindi, tornando al discorso di prima, della vita da artista indipendente, nelle priorità della vita la promo di quel disco è passata in secondo piano…

Questa impossibilità oggettiva nello schiacciare a fondo l’acceleratore sulla mia musica mi ha un po’ disilluso e messo davanti alla cruda realtà che mi risulta sempre più difficile trovare il tempo per fare musica. Ecco, “L’epilogo” nasce da questo sentimento di disillusione, che fa da contraltare alle alte aspettative del disco precedente. 

A livello musicale c’è sicuramente un passo avanti come qualità e suoni, anche come varietà di atmosfere.  Sullo stile mantengo una certa fedeltà al boom bap, ma mi sono messo in gioco in qualche traccia su tappeti sonori lontani dai miei standard e devo dire che non mi è dispiaciuto.

Premetto che non ti sto dando del vecchio! (ndr Ride!). Non molti artisti della tua età continuano a fare rap. Ad un certo punto molti smettono. Cosa ti spinge nel continuare a fare rime?

Infatti smetto! (ndr Ride!). Penso sia una cosa fisiologica. Secondo me la figura del rapper resta legata a una certa immagine che è difficile portare avanti a 50-60 anni. Magari puoi restare nel mondo della musica ricoprendo altri ruoli, ma salire sul palco e dire determinate cose, diventa difficile, rischi di diventare ripetitivo o addirittura ridicolo se forzi troppo la scrittura.

Poi dipende sempre da quello che dici e da come ti presenti. Uno come Kaos per esempio ha dei testi e un modo di essere che lo portano ad essere credibile ancora oggi sopra un palco senza perdere una virgola di spessore! È molto personale la cosa, secondo me è anche giusto che le nuove generazioni portino avanti la faccenda.

Come bilanci la tua vita personale con quella artistica SK8?

Ti dirò, non esistono due persone o due diversi lati di me. Sono assolutamente me stesso sempre. Il problema semmai è tra vita lavorativa e vita artistica, per un semplice discorso di tempo che ovviamente per forza di cose va a discapito del lato artistico.

Mi dici che tipo di disco è L’Epilogo e magari perché si chiama così?

Mi sono traferito a Barcellona subito dopo l’uscita del precedente album, come detto in precedenza la gente ha iniziato a chiamarmi “Popolare” facendomelo addirittura aggiungere al nome.

Mentre gli amici di una vita conoscevano perfettamente il mio percorso artistico, per i nuovi era come se la mia “carriera” fosse iniziata con “Popolare”. Sentivo quasi il dovere di fare uscire qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo cresceva in me la consapevolezza di non poter più dedicare troppo tempo alla musica. Ho deciso quindi di fare un ultimo sforzo e congedarmi a dovere!

Hai davvero intenzione di smettere? Sarà il tuo ultimo disco?

Da indipendente è davvero difficile stare dietro a un progetto corposo come quello di un album: scegliere i beat, trovare il tempo per scrivere, registrare, capire quale ospite possa sposarsi col progetto, poi la copertina, la promozione, i video,  per non parlare dei costi!

Oltretutto al giorno d’oggi ci sono degli standard abbastanza alti e non puoi permetterti di uscire con prodotti di scarsa qualità, quindi devi starci dietro. Inoltre, per quanto le nuove tecnologie aiutino, sono sempre solo e all’estero e coordinare il tutto è molto complicato. Quindi ti dico, ultimo album sicuramente, ma non escludo magari qualche progetto singolo o qualche collaborazione, sicuramente cose più gestibili.

Mi dici qualcosa della copertina, di chi l’ha realizzata e che messaggio volevate dare?

La copertina è stata realizzata da Alex aka Contrasto.X e raffigura una luna al tramonto sul mare, diciamo che da uomo del sud ho sempre il mare nei miei pensieri…

Il tramonto ovviamente rappresenta la giornata che volge al termine, l’epilogo per eccellenza e questa immagine con questi colori rende bene quello che volevo trasmettere. A parole può sembrare un’immagine romantica, invece tramette tutt’altro: è cupa ma c’è anche la luce della luna che disegna quasi un cammino sull’acqua.

C’è l’immensità del mare, ma si intravede anche il bagnasciuga, quindi si è al “sicuro”. Inoltre, il tramonto è sì la fine della giornata, ma dopo il tramonto verrà sempre l’alba, ciclicamente, all’infinito. E sta qua la scelta di utilizzare il simbolo infinito “∞” al posto della lettera “g” de “L’epilogo”, così come al posto del numero “8” dell’ultima traccia del disco, appunto “L’Epilogo”.

Perchè in fondo, non sarà mai un epilogo, ma una storia infinita…

Se parliamo invece di suoni e di collaborazioni? Come hai scelto i produttori e gli ospiti del tuo disco?

Partiamo dai produttori: BBoy Enea beatmaker di Torino, è amico di una vita, conosciuto durante le sue estati reggine, abbiamo iniziato a fare cose insieme nel 2007 e per me è sempre stato un punto di riferimento.

Quando decido di voler fare qualcosa o ho in mente qualcosa, lo chiamo e mi faccio mandare i suoi beat, ho la certezza di trovare sempre qualcosa che fa al caso mio. Ovviamente c’è un continuo scambio di pareri  e consigli, ma siamo decisamente sulla stessa lunghezza d’onda per quel che riguarda il come deve suonare un pezzo.

Masta P, anche lui reggino ed ex membro del collettivo Kalafro Sound Power (come Mad Simon e Kento di cui parlerò più avanti), è in realtà soprattutto un mc, anzi, personalmente uno dei migliori che abbia mai ascoltato in vita mia, come attitudine, facilità di scrittura, contenuti, ecc.

Abbiamo collaborato parecchie volte e avendo avuto il piacere di condividere lo studio con lui, ho davvero imparato tanto. Purtroppo per varie vicissitudini personali, questa volta mi sono dovuto accontentare dei sui beat e non sono riuscito ad averlo al mic, ma sono comunque felicissimo di averlo nel disco.

Infine, lato produzione, Andrea DiMa, che è anche Ceo della Rising Time, l’etichetta di musica indipendente con la quale collaboro  dall’album precedente. Ne approfitto per ringraziare lui e la Ele per il supporto che danno agli artisti indipendenti e alla musica nel territorio calabrese.

Dj Lil Cut, che è un gigante in questo mondo, me l’ha presentato BBoy Enea, inizialmente doveva essere presente solo su una traccia, ma alla fine sono 2 le tracce con i suoi scratch e devo dire che sono strafelice. Non è possibile fare un disco Hip Hop senza neanche uno scratch al suo interno! Posso dirlo? 

Mad Simon è stato il primo feat, e il pezzo è stato il primo singolo dell’album. Non avevamo mai fatto nulla insieme, ma non ho mai nascosto la mia stima verso di lui sia come artista che come persona. Quando gli chiesi il feat ricordo esattamente che la sua risposta è stata “beh, se sarà davvero il tuo ultimo lavoro, come faccio a mancare? Dobbiamo farlo!”. Davvero un grande!

Kento non ha bisogno di presentazioni: ecco, quanto detto su Kaos in precedenza vale benissimo anche per lui! Per i suoi testi, la sua personalità i concetti espressi, lui può continuare a fare musica per anni e anni senza perdere nulla in credibilità e spessore.

Ho un aneddoto su di lui: poteva essere il 1997 o 98, eravamo in autogestione al Liceo e avevamo organizzato un’ aula Hip Hop. Il ragazzo che aveva organizzato il tutto insieme a me, Luca G.,  invitò Kento, io non lo conoscevo e fu la prima volta che lo vidi: sapeva già chi era, cosa stava facendo e perchè, una personalità incredibile. E avere tale coscienza sul rap, a quei tempi, non era affatto una cosa scontata! Tutto questo a Reggio Calabria, un vero pioniere!

La scena reggina deve moltissimo a lui e averlo sul mio disco è per me motivo di grande orgoglio.

E.L.F.O. è un personaggio: un ciclone, un cuore grandissimo e un grande artista. E ci conosciamo da poco! Addirittura è stato lui a contattarmi  dopo aver saputo che stavo lavorando al disco. Entrambi di Reggio entrambi emigrati, abbiamo tirato fuori un pezzo secondo me tra i più belli dell’intero album. infine Andrea Fenice, unico feat “spagnolo” nel senso che è una mia amicizia recente, da quando appunto mi sono trasferito in Spagna.

Musicalmente siamo molto diversi ed è proprio per questo che l’ho voluto con me, mi serviva un contrasto tra il mio rap e il ritornello.  Il suo cantato ha creato davvero un mix perfetto, ed è stato un processo creativo molto rapido, ci siamo trovati a meraviglia.

Faccio una domanda fuori dalla norma! Miglior ristorante Calabrese (o Italiano) di Barcellona? 

Diciamo che a Barcellona sono più i campani che i calabresi e ci fanno mangiare benissimo! Ma non voglio evitare la domanda, quindi ti dico Il Bacaro,che è veneziano, in zona mercado de la Boquería, no doubt!



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