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Intervista a Kiave: Scopri il rapporto con Gheesa e gli artisti che hanno ispirato la sua musica

Innanzitutto benvenuto da tutto lo Staff del Rappuso e grazie per aver accettato di parlare con noi. L’artista che andiamo oggi a intervistare è Kiave, uno dei maggiori esponenti della scena italiana che vanta numerose collaborazioni con artisti da tutta la penisola. In questa intervista abbiamo avuto la fortuna di poter parlare anche con Gheesa che è intervenuto in alcune domande.

Sei nato e cresciuto in Calabria: raccontaci il legame con la tua terra.

KIAVE:

Io mi considero al 100% cosentino: sono andato via a 23 anni, ho fatto 8 anni a Roma e ormai sto a Milano da quasi 5 anni. In Calabria ho tutta la mia famiglia, gli amici stretti, poi ho avuto la fortuna di avere altre famiglie sparse per l’Italia. Sono sicuro che un giorno tornerò con un bagaglio di esperienze diverse per cercare di metterlo a disposizione della mia terra, che sicuramente ne ha più bisogno di me. Tuttavia c’è un motivo se sono andato via, ovvero che non ce la facevo davvero più e oltretutto erano anni diversi.  Tuttora purtroppo ci sono ancora un po’ di problematiche, però io scendo e suono spessissimo giù e mi piace tornarci e stare tra la mia gente con cui ho tenuto sempre un solido legame negli anni. La gente ha iniziato a chiamare Cosenza Cuse’ in tutta Italia grazie a me e a DJ Lugi!

 

In Calabria ci sono molti nuovi artisti e ragazzi giovani che si approcciano a quest’ambiente. C’è qualche nome che ti senti ti consigliare ai nostri lettori?

KIAVE:

Un ragazzo di Paola (paese di Macro Marco) in arte Fablo, uno di Fuscaldo in arte Omarito e Libberà della provincia Cosenza. C’è una bella scena e ad aprile alla fine del live abbiamo fatto un momento di open mic e il livello devo dire che è stato molto alto e questo non può che farmi piacere e riempirmi d’orgoglio.

Come hai iniziato ad approcciarti al mondo dell’hip hop?

KIAVE:

Ho iniziato dal writing a Cosenza nel 1997 quando c’erano molti Writers e pochi rapper. I rapper erano due Rafe e Dj Lugi. Tutti i miei amici dipingevano ed è stato un Writer a spiegarmi le basi del rap (Robè, che ha disegnato la copertina del FixTape), infatti, resta la mia disciplina preferita nonostante sia il rap a pagarmi le bollette. C’era una radio indipendente della mia città chiamata “Radio Ciroma” e lì ho visto fare freestyle a Dj Lugi e mi sono innamorato di questa disciplina. Adesso vivo a Lambrate che è una zona molto interessante a livello di writing, con nomi sempre nuovi e forti e in generale posso dire che Milano e Roma sono sempre state all’avanguardia nel settore.

Stereotelling e Stereokilling: come sono nati questi progetti e qual era l’obiettivo?

KIAVE:

Attorno a Stereotelling non c’era un vero e proprio obiettivo, solo la volontà di fare un disco diverso dal solito, magari anche anomalo per il mio rap senza ego e autoreferenzialità. Ho avuto la fortuna di incontrare Gheesa che mi ha steso dei tappeti perfetti per alcune canzoni. Volevo cercare di dare un’impronta più solare e l’ho scritto mentre facevo l’esperienza nei laboratori nei carceri, dove leggere i testi propositivi e postivi di questi ragazzi mi ha dato lo stimolo per fare altrettanto nei miei testi.

Magari qualche fan non l’ha capito e non l’ha apprezzato, ma io sono molto soddisfatto del mio lavoro e di com’è andato.


StereoKilling invece era un momento mio di rabbia e parlando con Gheesa abbiamo deciso di fare una cosa più hardcore e più classica, ma ci siamo comunque divertiti a farlo.

La scelta dei nomi rappresenta le due parti: quella che racconta e quella che uccide, la luce e l’oscurità, ovvero due lati del mio rap che spazia dallo storytelling al freestyle.

Spiegaci il rapporto con Gheesa sia in studio sia in live.

KIAVE:

Sicuramente andiamo più d’accordo in live rispetto che in studio (ahahah). Ormai è un anno e mezzo che suoniamo insieme: ci sono stati live buoni e altri meno buoni ma io ringrazio sempre di farli e di poter suonare perché sono sempre il primo a divertirmi sul palco.

GHEESA:

Il live è imprevedibile può accadere l’esatto contrario rispetto a quello che ci si aspetta, sia in positivo sia in negativo. In studio è un momento più creativo, calcolato ed è l’ambiente nel quale mi trovo perfettamente a mio agio nel processo di produzione e creazione.

KIAVE:

In studio è uno spettacolo in pochissimo tempo, sa dove andare a parare e capire ciò che serve.

GHEESA:

Ci metto due ore ad arrivare al nocciolo, poi ci metto dei giorni per apportare delle migliorie che poi la gente nemmeno nota, quindi è volto più a soddisfare me stesso e una necessità personale di una musica fatta in un certo modo.

Raccontaci il progetto con i ragazzi del carcere quando il rap incontra il sociale: com’è iniziato questo progetto e come funziona?

KIAVE:

Questo progetto è iniziato nelle scuole tanti anni fa. Io andavo spesso in una comunità di Arese, dove avevo un amico che lavorava e già quando stavo a Roma se avevo qualche data nella zona, ne approfittavo per fermarmi lì qualche giorno.  Abbiamo fatto laboratori passando inconsciamente del tempo insieme, sentendo musica e facevo freestyle con i ragazzi. Ogni anno organizzavano una sorta di rassegna interna con questi ragazzi: un anno sono andato a fare il mio live e negli anni successivi ho mandato degli amici come Marsiglia, Hyst gente disposta a fare queste cose.

Nel 2009/2010 abbiamo fatto il primo live con tutta la Blue Nox: è stata una bella esperienza che ha portato gente, il ricavato della serata l’abbiamo devoluto completamente in beneficenza e in questo modo sono nati i live Blue Nox.

 

Dopo questa serata siamo stati contattati da un’associazione che si chiama “Razzismo brutta storia” per realizzare un progetto “Potere alle parole” e siamo andati nelle scuole a fare laboratori di rap nelle scuole legati alla discriminazione per sensibilizzare i giovani a questo fenomeno. Era da qualche tempo che volevo fare un progetto così nei carceri, dove ce n’è davvero molto bisogno e quindi siamo riusciti a realizzarlo: per tre anni nel carcere di Monza e un anno sia a Monza sia al Beccaria. Quest’anno invece l’ho fatto allo Sprar, un centro di seconda accoglienza, dove i ragazzi rifugiati politici sono accolti da 6 mesi a 1 anno per cercare di integrarli nella società.  Lavorare in un posto come il carcere non è semplice a causa di molti ostacoli burocratici. Per me è un sacrificio, ma so di fare la cosa giusta quando a fine anno vedo i risultati con pezzi scritti e registrati da parte di ragazzi più felici e sereni. Sono riuscito a portare il rap fuori dal carcere dandogli una speranza, qualcosa che li possa aiutare a canalizzare la rabbia in qualcosa di costruttivo e questo mi dà sempre molta soddisfazione. L’amore per l’hip hop mi aiuta a superare, sopportare tutti gli ostacoli e le perquisizioni che ogni volta bisogna affrontare quando si va in un carcere.

Se dovessi scegliere 5 album o 5 rapper che hanno influenzato la tua carriera musicale sia hip hop sia di altri generi quali citeresti?

KIAVE:

Partendo da album italiani che mi hanno portato via un pezzo di cuore: Sxm dei Sangue Misto, Dritto dal cuore dei Next Diffusion e il disco degli Isola Posse All Stars, dentro il quale c’è Passaparola che per me rappresenta una vera e propria guida.

 

Un altro disco che mi è impossibile non nominare è Ca Pu di Dj Lugi essendo calabrese e avendolo aspettato con ansia per anni.

Per quanto riguarda gli americani partirei citando Curtys di Curtys Mayfield, mentre tornando all’Hip Hop sicuramente Black Out di Method Man e Redman, che secondo me ha segnato il punto più alto di quegli anni e i volumi degli Slum Village prodotti da J Dilla.

Se dovessi scegliere qualche artista direi senza dubbio Mos Def, Common, Talib Kweli e Pharaohe Monch il cui disco Desire penso rappresenti la perfezione sotto ogni aspetto. Apprezzo molto la scena di Detroit con ElZhi, Black Milk e Royce Da 5’9, poi ci sono troppi artisti e dischi che dovrei citare in base al periodo e alle varie influenze. Come ultimo disco vorrei citare Warriorz degli MOP che sentivo in loop da ragazzo e che amo tuttora.

GHEESA:

Il disco che mi ha fatto innamorare del rap e il motivo per cui ho iniziato a produrre ovvero Beats, Rhymes and Life degli A Tribe Called Quest. Io ascolto molta musica diversa, ma il rap resta sempre la mia passione principale poi da lì partono tutte le mie influenze. Uno dei dischi che mi ha fatto innamorare della produzione è stato You’ve Come a Long Way, Baby di Fatboy Slim molto colorato ed elettronico. Per un periodo, alcuni anni fa avevo prodotto un demo di 4 tracce di Drum and Bass e l’avevo mandato a un’etichetta salentina che si chiamava Quadra. Ho sempre spaziato nel corso degli anni, ma anche adesso continuo a produrre con diverse influenze.

Infine se vuoi anticiparci qualche tua collaborazione in uscita e qualche progetto che sicuramente avrai in cantiere. Su che piattaforme possiamo continuare a seguire e acquistare i tuoi lavori? Grazie per il tempo e per la disponibilità.

KIAVE:

Nuove collaborazioni al momento non sono in programma. Posso dirti che continueremo a girare in live fino a Ottobre, poi io voglio prendermi una pausa per capire cosa fare per il disco nuovo. Nell’ultimo periodo ci sono stati molti cambiamenti e ho bisogno di prendermi del tempo per me levandomi dal cazzo e anche dai social. I lavori sono acquistabili direttamente dalla mia pagina Facebook https://www.facebook.com/kiaveofficial/?ref=br_rs oppure dal sito di MacroBeats https://shop.macrobeats.net/  o dal mio personale http://www.mirkokiave.com/.

 

Redazione

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