Luchè: “Il Mio Lato Peggiore” è il nuovo capitolo della sua evoluzione musicale. Recensione.

Luchè è tornato, e lo ha fatto a modo suo: con un album che scava a fondo, che non cerca consensi facili, ma vuole essere capito.
Il Mio Lato Peggiore, uscito oggi per Warner Music Italy, è il sesto capitolo della discografia solista di uno degli artisti più lucidi e coerenti della scena italiana. Dopo averci lasciato nel 2023 con Dove Volano Le Aquile-Pt2, Luchè ha continuato a muoversi tra riflessione e ambizione, portando avanti una ricerca musicale personale, fatta di stile, visione e necessità espressiva.
Il disco arriva in un momento in cui Luchè sembra avere ancora qualcosa da dire – e forse più di prima. A conferma dell’importanza di questo progetto, il rapper napoletano ha annunciato una serie di live che partiranno il 5 giugno allo Stadio Diego Armando Maradona di Napoli, un evento simbolico e potente per la sua città.
A seguire, ci sarà il Luchè Summer Tour 2025, con tappe a Riccione, Gallipoli, Diamante, Empoli, Roma, Assago e molte altre. Un tour pensato per portare le nuove tracce dal vivo, ma anche per ribadire il legame tra palco e pubblico, che Luchè non ha mai sottovalutato.
Dai singoli alle aspettative: cosa ci avevano già detto “Anno Fantastico” e “Autostima”
Prima dell’uscita, Luchè ha lanciato due singoli che sembravano già definire il tono del disco. Anno Fantastico, con Shiva e Tony Boy, è un banger deciso, dritto in faccia, che mescola egotrip, incastri ben curati e una produzione potente. Il brano è una dichiarazione d’intenti: qui si parla di rivincita personale, di come sopravvivere al successo e ai suoi effetti collaterali. Non è solo rap, è attitudine. È uno di quei pezzi che ti caricano o ti schiacciano, dipende da come ti svegli la mattina.
L’altro singolo, Autostima, ha un sapore completamente diverso. Luchè ha detto di averlo fatto in freestyle, un flusso di coscienza puro, quasi sussurrato, dove le fragilità prendono forma senza filtri. È una confessione su beat, un momento di verità.
E già con questi due brani si capiva che Il Mio Lato Peggiore non sarebbe stato un album lineare, ma un viaggio tra luci e ombre, orgoglio e dolore.

La copertina non mente: estetica, delivery e l’identità visiva di Luchè
La cover di Il Mio Lato Peggiore è tutto fuorché casuale. Scura, sfocata, misteriosa, con Luchè al centro ma quasi irriconoscibile. È un’immagine che richiama le atmosfere della fotografia concettuale, con echi del surrealismo fotografico e una certa malinconia postmoderna.
Niente luci sparate, niente facce in primo piano da campagna pop: è quasi un quadro astratto, dove l’identità si dissolve. È la rappresentazione visiva perfetta del titolo. Il lato peggiore non è quello che si mostra, è quello che si nasconde. O che si lascia solo intravedere.
E non è una sorpresa, perché Luchè è da sempre un esteta, non solo nelle parole, ma nel suono, nella voce, nei visual, nella delivery. Ogni suo progetto ha una coerenza visiva e sonora che lo rende immediatamente riconoscibile. La sua musica non è solo da ascoltare, è da vedere, da sentire nel corpo.
Anche questo disco, in tutta la sua oscurità, ha una forza visiva che anticipa il tono del contenuto: non sarà un ascolto facile, ma sarà vero. Sarà profondo. E, come spesso accade con Luchè, sarà uno specchio – a volte distorto, a volte impietoso – che ci costringe a guardare dentro anche noi.

Luchè, un viaggio tra contraddizioni, rabbia e fragilità: i temi e i suoni
Lo stile di Luchè, anche nel disco Il Mio Lato Peggiore, resta inconfondibile: personale, riconoscibile, fedele a sé stesso. La sua scrittura è essenziale, ma tagliente. Non cerca la barra a effetto, ma la verità. Il suo timbro è caldo, profondo, e riesce a muoversi tra parlato e melodia con una naturalezza che pochi altri in Italia possono permettersi.
C’è un equilibrio costante tra tecnica e sentimento, tra intensità e misura. E se da un lato ritroviamo l’energia dei suoi ego trip, dall’altro emergono momenti riflessivi, intimi, quasi vulnerabili. Alcuni brani sembrano essere stati scritti e registrati di getto, lasciando spazio all’urgenza comunicativa più che alla levigatura formale: è questo uno degli aspetti più veri del disco. Luchè sembra voler parlare in modo diretto, semplice, umano. Anche attraverso quelle cantilene ibride – sospese tra il rap e il canto – che hanno ormai definito il suo stile.
I temi toccano molteplici sfumature della sua identità: l’autoconsapevolezza, l’orgoglio di chi viene da lontano e ha lasciato un segno, il senso di rivalsa, la realness come principio. Ma anche la solitudine, l’ansia, la tristezza, l’amore che diventa rifugio, i dubbi sul futuro e il bisogno di condivisione vera. La lealtà con gli amici, il desiderio di una relazione profonda, gli auspici su cosa restituire e ricevere dalla vita. È un viaggio nelle sue contraddizioni, nella sua rabbia e nella sua fragilità, sempre in bilico tra luce e oscurità.
Sul piano musicale, i beat accompagnano con coerenza questo percorso emotivo. Il sound oscilla tra club ed elettronica, con momenti trap, campionamenti pianistici, atmosfere ambient e tratti rilassanti. Raramente si toccano sonorità più classic, come nel brano Morire Vuoto, che regala una pausa soulful e groove.
Anche la produzione riflette la doppia anima del disco: da una parte la carica esplosiva dei banger, dall’altra una raffinata armonia introspettiva. È questa varietà che rende l’album capace di parlare a un pubblico ampio.
Le tante collaborazioni – che vanno dal rap puro al pop più trasversale – lo rendono accessibile, adattabile a contesti diversi. Ma Il Mio Lato Peggiore è anche un disco che i collezionisti di rap dovrebbero ascoltare senza pregiudizi. Le presenze non annacquano il progetto, lo completano. E dietro ogni traccia, ogni strofa, c’è sempre e solo Luchè: con la sua voce, la sua visione, la sua identità.
Conclusione
Con Il Mio Lato Peggiore, Luchè si conferma un artista speciale e versatile. La sua voce resta una delle più riconoscibili e intense del panorama italiano: quel timbro scuro, vellutato, capace di trasformarsi da sussurro intimo a dichiarazione tagliente, è ormai un marchio di fabbrica.
Il disco è un buon prodotto: molto accessibile, a tratti apertamente commerciale, ma senza perdere in sincerità. Per la prima volta Luchè si mostra davvero nudo, fragile, intimo. È un lavoro che lascia spazio alle sue ferite, ai suoi pensieri più cupi, e lo fa senza nascondersi dietro personaggi o maschere.
Il titolo, Il Mio Lato Peggiore, sembra parlare proprio di questo: non è una posa da cattivo ragazzo, ma una dichiarazione di vulnerabilità. Luchè sembra voler mostrare tutto ciò che normalmente si nasconde: la rabbia, i difetti, le contraddizioni, le debolezze che convivono con l’orgoglio, la forza, la lucidità. È un disco che rivendica il diritto di non essere perfetti, di non piacere a tutti, di essere veri anche quando si è scomodi. Quel “lato peggiore” è forse solo il lato più umano. E che Luca, da buon Capricorno, ha.
Eppure, resta un dubbio. Con così tante collaborazioni, alcune più ispirate di altre, viene spontaneo chiedersi: erano davvero tutte necessarie? Il disco avrebbe funzionato anche con meno voci, con meno nomi in copertina.
Anzi, forse avrebbe funzionato meglio. Una provocazione è lecita: perché tutti questi featuring? Una strategia di numeri? Una sfumatura di insicurezza? Un modo per proteggersi o per amplificarsi? Se fosse così, è un peccato. Perché Luchè non ne ha bisogno. La sua attitudine, la sua scrittura, la sua credibilità parlano da sole. E, come dimostrano alcuni dei brani più potenti del disco, sa brillare anche – e forse soprattutto – quando è solo.