Urban Girls #6 – Zagara Pafumi, “Io sono argilla”

Urban Girls, eccoci con un’altra intervista!
Zagara Pafumi nasce a Catania nel 1990 e ha esplorato l’arte in tutte le sue forme. La sua professione ufficiale è designer e artista della ceramica.
Io la conosco dai tempi dell’Accademia di Belle Arti di Catania, dove ci siamo legate sin da subito. In lei ho riconosciuto un’energia diversa da tutte le altre ragazze del corso. Ci siamo scelte prima come colleghe e poi come amiche, condividendo una parte di vita profondamente significativa, soprattutto durante il suo periodo milanese.
Le nostre storie, fatte di gioie ma anche di dolori, venivano raccontate, condivise e, in parte, risolte con una risata fragorosa. Siamo massicce, ma lei lo è ancora di più!
In questa intervista per Urban Girls non parleremo principalmente delle difficoltà che l’hanno segnata e trasformata, ma dei successi, un po’ come avere un mazzo di carte in mano: tutti i semi, tutti i colori, e solo l’imbarazzo della scelta.
Questa donna è resilienza, e attraverso le sue parole capirete come l’arte può trasformare, ridare vita e dare un nuovo senso alle cose. Buona lettura.

Ciao, Zagara, come stai? Benvenuta nel mondo di Urban Girls!
Ciao ragazze! Bene, grazie.
Tu sei un’artista, un’artigiana. Come ami definirti?
Artista della ceramica o artista ceramista. Non mi reputo un’artigiana completa, perché l’artigiano tende a produrre opere più “ordinarie”, anche se non amo definirle così. Io, invece, seguo una linea sperimentale molto personale.
Raccontaci come ti sei avvicinata al mondo della ceramica: il tuo inizio, il tuo percorso di studi e, soprattutto, come hai capito che questo sarebbe stato il tuo ruolo nella vita.
Sono siciliana e, come potete immaginare, sono cresciuta circondata dalla ceramica. L’architettura decorativa della casa dei miei era interamente realizzata da artigiani locali. Ho respirato questa cultura sin da piccola, ma senza mai comprenderne davvero il significato, la davo per scontata, anche perché in Sicilia c’è una grande tradizione artistica legata a questo materiale.
Dopo il liceo socio-psicopedagogico, ho proseguito gli studi all’Accademia di Belle Arti di Catania, indirizzo Design del prodotto, con un focus sulla progettazione al computer.
Nel tempo, l’argilla è sempre rientrata nel mio percorso formativo: istintivamente la sceglievo come materia aggiuntiva nel piano di studi. Successivamente mi sono trasferita a Milano per studiare Progettazione Artistica per l’Impresa all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Qui ho avuto la possibilità di seguire un corso di Ceramica, e ancora una volta l’ho scelta come materia aggiuntiva. Tuttavia, l’ho sempre vista come un complemento, non come il cuore della mia ricerca.
Milano offre tantissime opportunità, ma tende a risucchiare le energie. Dopo un periodo di grande stanchezza, sono tornata in Sicilia per schiarirmi le idee. Mi sono resa conto che lavorare esclusivamente al computer mi faceva sentire distante dal progetto, come se non riuscissi davvero a toccarlo.
Una sera, mentre disegnavo davanti allo schermo nella mia cameretta milanese, ho guardato le mie mani e mi sono chiesta: “Ma queste mani così grandi… servono solo a scrivere e a progettare al computer? Non possono avere un ruolo più concreto?”
Vicino casa mia, a Catania, c’era una ceramista formatasi con i maestri di Caltagirone. Ho iniziato a frequentare il suo laboratorio ogni giorno per qualche ora, e da lì è cominciata la mia storia. Ho capito nel tempo cosa cercavo davvero: non era soltanto la lavorazione dell’argilla, la sua plasmatura, la decorazione, i colori… io cercavo le mie radici, e le ho trovate nella ceramica.
Ho studiato il materiale in tutte le sue forme, partendo da tecniche antiche: ho costruito forni primitivi in fossa, per capire come cuocevano la terracotta i nostri antenati. L’uomo ha iniziato a creare utensili quando è passato da una vita nomade a una sedentaria e, in un certo senso, è successo anche a me. Ho imparato finalmente a stare in un posto e a creare.
Oggi, dopo un lungo percorso, ho il mio spazio di produzione, realizzo lavori su commissione e affianco la ricerca alla linea commerciale. Continuo a sperimentare, soprattutto con forme organiche e cotture che generano texture particolari grazie agli shock termici. Quella che era solo una passione è diventata il mio lavoro. Ora posso dirlo: io sono argilla.

“Tu sei argilla.” Bellissima definizione. La ceramica è un materiale ancestrale per l’uomo, e per te ha rappresentato un legame profondo con la tua storia personale. Ma quali sono state le difficoltà nel tornare in Sicilia? Il fattore lavorativo, economico, il confronto con i clienti e i datori di lavoro… Hai mai vissuto discriminazioni in quanto donna nel settore?
Tornare a Catania dopo tanti anni è stato uno shock. Il nord e il sud sono mondi completamente diversi. Amo e odio la mia terra per questo: mi ha dato tanto e mi ha tolto altrettanto. I ritmi sono molto più lenti, e prima ancora di dedicarmi alla ceramica, ho vissuto esperienze lavorative frustranti, ore di lavoro mal pagate, poca tutela per il lavoratore… purtroppo, lo sfruttamento esiste ovunque.
Quando ho iniziato a costruire i miei forni, ho cercato il supporto di fabbri e artigiani locali per capire alcuni aspetti tecnici. Appena mi hanno vista, la loro prima reazione è stata: “Ma tu che devi fare con sto bidone? Cosa ci devi cucinare dentro? Il pollo?”
Come se il fatto di essere donna implicasse automaticamente che avrei usato un forno solo per cucinare! No, tesoro mio, ci devo cuocere pezzi di ceramica con tecniche giapponesi che ho studiato approfonditamente. Questa mentalità mi ha fatto impazzire. Con molto piacere avrei cotto loro dentro al forno!
Quando sei tornata da Milano, in famiglia, ci sono stati momenti in cui ti sei sentita di aver fallito? Ti hanno fatto sentire in difetto per non aver proseguito una carriera lì al nord?
Non mi hanno mai fatto sentire una fallita. C’è da dire che, prima di partire per Milano, ho avuto un brutto incidente stradale che mi ha costretta a stare a letto per molto tempo, rischiando di perdere anni di studio.
La riabilitazione è durata circa un anno e, per sfortuna o per fortuna, grazie a questo incidente ho ricevuto un risarcimento assicurativo. Di fatto, il mio incidente stradale è stata la mia “borsa di studio” per trasferirmi a Milano e continuare l’Accademia.
Questo però mi ha portata a non riposarmi davvero. La mia famiglia era preoccupata perché vedevano quanto fossi affaticata.
Quando sono tornata a Catania, sapevano che ero esausta. Non mi sono mai concessa il tempo di fermarmi, ma tornare a casa è stato il mio modo di farlo. Sono stati eccezionali nel sostenermi con pazienza, perché ero molto nervosa e provata. Mi sentivo di aver fallito, ma in cuor mio sapevo che era necessario. L’argilla è sempre arrivata nella mia vita, ma io non ne ho mai colto il segnale fino a quel momento.

Lavorare con l’argilla ti è stato anche terapeutico, a livello psicofisico?
Assolutamente sì. Lavorare con le mani, specialmente con la terra e l’argilla, un materiale così antico, primitivo e al tempo stesso contemporaneo, permette di liberare il corpo da tantissime “tossine”, da tensioni che si percepiscono sottopelle. Le mani aiutano in questo processo. È stato terapeutico all’inizio, indispensabile dopo, e poi è diventato semplicemente meraviglioso.
Grazie a questa intervista ho avuto l’occasione di visitare il tuo studio. Raccontaci un po’ di questo spazio: com’è composto, dove si trova e, soprattutto, qual è il fascino che trasmette.
Dopo le grandi spese sostenute a Milano, non avevo molti soldi. Dovevo arrangiarmi con ciò che avevo, mettendo da parte ogni euro per acquistare il materiale e iniziare seriamente a lavorare con la ceramica. La spesa più grossa sarebbe stata affittare un laboratorio, ma fortunatamente casa mia è molto grande e sono riuscita a ricavarmi uno spazio per modellare e decorare l’argilla.
Nel mio terreno di famiglia c’è una cappella, una chiesetta costruita dai miei genitori su consiglio di un sacerdote molto vicino alla nostra famiglia. È una struttura in pietra lavica, ormai in disuso. Dopo qualche tempo, ho deciso di allestire lì il mio studio. Quindi, sì… sono dentro una chiesetta a decorare la ceramica. È assurdo, ma incredibilmente perfetto.

Sembra quasi che questo luogo fosse destinato a te, in un modo o nell’altro. Sarà stato il fato, o forse una benedizione?
I segnali sono stati tantissimi fin dall’inizio. Alla fine, nessuno utilizzava più la cappella. È una piccola struttura rimasta lì, sospesa nel verde. Per me ha sempre avuto un enorme fascino.
Quando sono tornata a casa, ero confusa, spesso non sapevo che direzione prendere.
Mi recavo in quella chiesetta e rimanevo in silenzio, cercando un po’ di serenità mentale. Ci ho messo tre anni per capire che da quelle quattro mura di pietra sarebbe nato qualcosa. Era il mio posto. Mi ha aiutata molto anche nella scelta dei colori, perché lì c’erano pace e silenzio.
Raccontaci un momento gratificante che hai vissuto in questo spazio, creando i tuoi lavori.
Nel 2020, durante il periodo del Covid, i miei amici di Milano erano chiusi nelle loro stanze, impauriti, come tutti noi. Io, per fortuna, avevo il mio laboratorio e un po’ di verde attorno. In quel periodo ho creato le olle romane, piccoli giardini per interni realizzati in forma artistica.
Li ho rielaborati con l’idea di mandare un po’ di verde ai miei amici, che erano lontani e confinati nelle loro case. Il momento più bello è stato quando, mentre lavoravo l’argilla nel laboratorio, parlavo con loro al telefono e, senza pensarci troppo, la forma delle olle è uscita da sola. Era come se volessi averli vicino, condividere un po’ d’aria e di ossigeno con loro.

Quella che vediamo nella foto insieme a te è proprio una delle olle romane, vero?
Un altro momento gratificante è stato quando una mia ex compagna delle elementari ha scoperto il mio lavoro e ha deciso di commissionarmi delle bomboniere per il suo matrimonio.
Lei detesta le bomboniere, anche io in parte, ed era chiaro che non ne avrei mai realizzate nel senso tradizionale. Questi oggetti, invece, sono stati donati agli ospiti. È stata una bella sensazione sapere che il ricordo di questo amore sarà per sempre racchiuso in una mia creazione.
Sei alla ricerca di una forma artistica tutta tua, che sia riconoscibile?
Sarebbe un sogno riuscire a identificarmi in alcune forme solo mie, ma credo che ci riuscirò con l’aiuto di tutti, perché, ragazzi, non siamo soli. Quando definiamo noi stessi, lo facciamo anche attraverso chi ci circonda.
Voglio essere libera di trasformarmi, di creare un oggetto unico, ma anche di riprodurlo in serie. Io voglio tutto o niente. Perché nel momento in cui un pezzo entra nella quotidianità di qualcuno, acquisisce un valore immenso.
Entri nell’intimità di una casa, nella vita di una persona, e per me questo è incredibile.
Non voglio essere messa su un piedistallo per aver creato un’opera irripetibile. Non voglio definirmi in una forma, perché le forme cambiano, e noi con loro. Mi trovo male a riprodurre sempre lo stesso lavoro, perché mi sembra di dovermi incasellare. Spero di essere riconosciuta per questo, non per aver finalmente “delineato” me stessa.

Questa tua ricerca parte molto dal tuo studio sul design. Queste olle sono palesemente opere di design, quindi funzionali per l’uomo. Non hanno soltanto uno scopo estetico, ma devono essere anche utili. Parte da una ricerca approfondita, studiata, ma allo stesso tempo, come dicevi prima, è anche qualcosa di molto naturale, giusto?
Sì, questa è una bella domanda. Probabilmente non posso esserne certa, ma come ti ho detto prima, tutto è trasformazione. Io sento fortemente questo concetto. Ciò che riguarda una funzione, o perlomeno che la ricordi, fa parte di me, perché in questo ho trovato la chiave di alcune risposte. E porterò avanti questa visione.
Non ti escludo che un giorno possa creare solo una testa o una maschera. Mi piace anche l’idea di divertirmi, di costruire qualcosa che possa far sorridere; qualcosa di buffo, di grasso, di magro, di mortifero. Nulla esclude l’altro. Se penso a dei pezzi importanti che potrei realizzare, lì sì, ci sarà una funzione e una forma sperimentale.
Cosa consiglieresti a delle donne giovanissime come te, che hanno abbandonato l’idea di un lavoro ordinario e vogliono intraprendere una professione indipendente?
Il mio consiglio è di non smettere mai di “nutrirsi” di ciò che le ha spinte a farlo. Perché, in realtà, chi riconosce che puoi riuscirci spesso non vuole che tu ci riesca. La mediocrità regna sovrana in tantissimi ambienti.
Circondatevi di persone che vi sostengono e credono nel vostro potenziale. Il vostro lavoro non sarà mai compreso del tutto, solo voi potrete esserne pienamente consapevoli.
Chi crede in voi si riconosce nelle vostre vittorie, e la condivisione del successo è la chiave. Cercate contatti, siate curiose, rimanete sempre sul pezzo con il cuore. Il cuore è ciò che realmente riesce a manifestare quello che desiderate. La testa? Accendetela dopo, ok?

Noi di Urban Girls ci occupiamo di dare spazio e voce alle donne nel mondo dell’Hip Hop e, come te, a quelle che operano in ambiti completamente diversi dalla musica. Abbiamo riscontrato tantissime difficoltà a livello globale: la donna è sempre stata messa in secondo piano, presa poco sul serio. Qual è la tua visione generale? Come vedi il futuro della donna? Tu, da siciliana, come percepisci la figura femminile oggi? Quali punti potrebbero cambiare nei prossimi anni e cosa, invece, resterà immutato?
Oggi vedo donne molto arrabbiate. Si discute ancora di stipendi, di ruoli, di rispetto, dell’importanza di una decisione presa da una donna. E poi i ruoli di potere… è un tema che va affrontato, purtroppo, con un certo impeto.
Perché purtroppo? Perché non credo che il mondo debba essere gestito con una rabbia costante. Penso che la donna debba tornare a essere padrona di se stessa. Può essere intelligente, intuitiva, governatrice, vera. La testa va su più fronti.
La donna è multitasking, possiede tutte le potenzialità per comandare l’universo. Il mio sogno è vedere donne felici, obiettive, decise, ma anche serene nell’affrontare questa lotta, inevitabile. Vorrei vedere donne capaci di affrontare il quotidiano, sia nei grandi ruoli che nei piccoli ruoli. Una donna felice di essere donna. Una donna che possa tornare a essere unione, e non guerra.
Anche per quanto riguarda l’artigianato: c’è bisogno che alcune industrie chiudano, perché queste mani vengono dimenticate. L’artista rischia di scomparire in questo settore. Perciò, l’obiettivo è far emergere quell’entusiasmo che appartiene a questo lavoro. Il mercato è saturo, e io mi trovo a litigare per due euro. Bisogna riconoscere il valore della ricerca e il lavoro dietro certe forme.

La mia ricerca è capillare, non è solo sperimentale. Bisogna dare valore alla persona, non soltanto all’oggetto che hai in casa. Un oggetto è creato da qualcuno o da una macchina. Sarai sempre attratto da quello fatto a mano, perché dietro c’è molto di più.
Perfetto! Hai voglia di aggiungere altro?
Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto con pazienza e amore. Il mio percorso sarà difficoltoso su più fronti, ma affronterò sempre gli ostacoli con determinazione e “ricchezza”. Per citare una frase della sigla di Naruto: “Io credo in me nel cuore mio”.