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“Habitat” è un invito a cercarsi: RECENSIONE

Il nuovo disco di Nayt arriva il 16 Giugno dopo due anni dall’ultimo progetto, Doom, prosieguo di “Mood”, usciti entrambi nel 2021.

Nayt, nell’illuminante evento del 31 Maggio, che ha visto come palco il Cinema Troisi di Roma, ha dato la possibilità ai suoi fan di osservare ed apprezzare un cortometraggio che porta il nome del nuovo album: Habitat. L’interessante modalità di presentare il lavoro compiuto ha avuto la finalità di risvegliare dubbi innati negli spettatori (appartenenti all’uomo in generale per sua natura) e di sviscerarli, senza che Nayt, all’epilogo del tutto, spiegasse il significato che ha voluto cucire sul disegno complessivo.

La bellezza dell’arte è proprio quella di poter dare una propria interpretazione a ciò che si percepisce, che si ascolta, e far propria quella deduzione facendola fondere con noi stessi; è questo il processo che William ha voluto innescare. Processo come quello della Trilogia costituita dai dischi sopra citati, che, appunto, vede il suo apice e termine in Habitat.

Totalizzante in Mood e Doom è stata la tematica della vita percepita come una condanna, in cui azioni come vivere, innamorarsi, lo stesso morire, limitano costantemente l’uomo perché alla base di esse non c’è una scelta conscia e libera dell’essere umano, ma una costrizione, determinata dallo scorrere degli eventi della nostra esistenza, a cui dobbiamo irremovibilmente adattarci. Nonostante la concezione delle scelte come slegate o coattive, ciò che è certo è che esse definiscono chi siamo ed è proprio su queste che costruiamo noi stessi.

Nayt, nelle risposte che ha dato ai quesiti posti da diversi fan a seguito della visione del cortometraggio, ha espresso quanto per lui, insieme al riconoscere l’importanza caratterizzante delle scelte, sia imprescindibile stare sempre in movimento, “altrimenti saremmo stagnanti e non ci sarebbe vita”. Movimento che però, nell’epoca odierna, che ci circonda e a tratti assorbe, è messo in discussione dalla dipendenza. Dipendenza dai social, dalle sostanze, dalle persone, dalla ricerca compulsiva di un affetto che si dimostri stabile; che scoppia nel momento in cui abbiamo bisogno di evadere da noi stessi poiché non ci riconosciamo più, viviamo una depersonificazione e tentiamo di ritrovarci in altri elementi esterni al nostro io come, appunto, i social, le droghe, gli altri uomini.

Per questo l’autore di Habitat afferma quanto per lui sia stato inaspettatamente essenziale partire. “L’ultimo viaggio intrapreso mi ha fatto imparare a stare solo” con me stesso e a lasciare andare i bisogni e a ritrovarmi, a godermi nuovamente le persone per davvero.

È proprio questo il fine di Habitat, rappresentare una peregrinazione interna ed esterna a chi lo ascolta, analizzando i posti in cui l’uomo si rifugia, in cui cambia e individuando quelli in cui si sente più spaesato o più protetto.

“Ogni creatura si dirige verso casa, il nostro punto di origine, dal quale partiamo e che usiamo per orientarci per andare verso terre sconosciute, senza questo punto saldo saremmo totalmente persi“.

Non è un caso che nell’antica Grecia il sostantivo οἰκία racchiudeva ed esprimeva due concetti importanti: vuole significare sia casa, sia famiglia. Oἰκία è un luogo, su cui nasce una costruzione, ma è anche e soprattutto, luogo di affetti e di sentimenti. E dunque la nostra casa non è solo quella in cui cresciamo, ma è il punto in cui percepiamo noi stessi, in cui sentiamo quella protezione data da un tetto non formato da cemento e tegole, ma dal calore di chi ci ama.

La frenesia di quest’epoca rende difficile la ricerca di una casa in cui riposarsi, in cui fiorire. Velocità che pervade l’animo dell’uomo e lo fa sentire disorientato, senza un posto nel mondo che lo rappresenti. E qui trionfano la dipendenza, il senso di inadeguatezza, la depressione, crude espressioni del nostro sentirci perduti.

Ma la società di oggi non porta solo confusione; se nei dischi precedenti Nayt era convinto che le scelte fossero costrette dall’inesorabilità degli eventi, ora riconosce che questa epoca veloce, abbia fornito a chi ci è nato, con la sua continua evoluzione “più strumenti e consapevolezza di poter scegliere cosa fare della nostra vita”, anche se le informazioni ci bombardano ed è per questo che alle volte ne usciamo confusi e non arricchiti. Nel momento in cui l’uomo accoglie la consapevolezza di essere artefice del suo destino, percepisce libertà, ma anche la responsabilità di decidere chi è davvero e di cosa fare di casa sua.

Habitat è un invito a cercarsi, a non cedere alla pigrizia, che è solo un’altra faccia della paura, che esiste solo se le diamo l’opportunità di farlo.

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