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Kento presenta Kombat Rap – Intervista

Negli anni abbiamo avuto il piacere di intervistare Kento in tantissime occasioni. Ma oggi, dopo 14 anni dal suo primo lavoro solista, Kento ci parla di Kombat Rap, un disco che in questa chiacchierata lui definisce “presuntuoso“. Avrei voluto scrivere un’introduzione diversa da questa, magari più corposa, ma credo che nessun preambolo potrebbe spiegare questo disco e le mine che Kento lancia. Kombat Rap è Hip Hop da trincea che cerca di fare resistenza al multiverso e al 2.0. con armi diverse da quelle a cui siamo abituati oggi.


Pietre è il primo pezzo del tuo nuovo disco. Solo apparentemente un elenco di titoli senza senso …

In realtà Pietre è semplicemente un insieme di titoli delle canzoni che più mi hanno ispirato, non ci sono nomi, personaggi o avvenimenti se non quelli che sono appunto citati dai rispettivi autori. Già se senti l’inizio fa: “Fight The Power, Autogrill, Il Pescatore, Lo Straniero, Gin n’ Juice, La Donna Cannone…”, quindi hai i Public Enemy, Guccini, De André, i Sangue Misto, Snoop e De Gregori. L’ordine non è di importanza o cronologico, ma abbastanza casuale visto che la traccia è stata scritta di getto, sono 64 barre senza ritornello per un totale, se ho fatto bene i conti, di 167 titoli.

Alla fine ho preferito lasciarla così “selvaggia” perché da una canzone me ne veniva in mente un’altra che magari non c’entrava nulla con la precedente, e volevo lasciare all’ascoltatore lo stesso viaggio che mi sono fatto io scrivendola. Ad un testo del genere mi è sembrato bello abbinare una base analogica, tutta suonata da Shiny D (già pianista nei Voodoo Brothers, band con cui ho fatto due dischi) con il pazzesco sax di Sabrina De Mitri che dà al tutto una fumosa atmosfera jazz.

L’idea nasce dal fatto che molto spesso mi viene chiesto chi sono gli artisti che mi hanno ispirato, ma quasi mai le canzoni specifiche. Ora che stiamo facendo questa intervista il disco ancora non è uscito, ma ti posso ancora dire che tra i tuoi colleghi giornalisti sicuramente questa traccia ha riscosso una grande curiosità e alcuni stanno facendo appunto il gioco di individuare tutte le canzoni. Magari ci faremo una playlist, chissà.

Sicuramente te lo chiederanno tutti. Come mai Kombat Rap?

Beh, ovviamente c’è un omaggio ai Clash di Combat Rock e al combat folk dei Modena City Ramblers, ma anche il messaggio specifico che la musica e il rap in particolare, può essere uno straordinario strumento di lotta. Lotta per affermarsi a livello personale, certo, ma anche collettivo e condiviso. Tra i valori più belli dell’Hip-Hop c’è che è un movimento e non semplicemente un insieme di individui: cosa troppo spesso sottovalutata o trascurata anche da noialtri rapper.

Da parte mia, provo a dare un contributo nel senso del movimento più che dell’individualismo. Ma lotta non è solo politica … anche la riflessione interna, l’amore, la malinconia sono forme indispensabili di lotta con noi stessi e a volte perfino CONTRO noi stessi. Senza lotta non c’è futuro, sia a livello spirituale che nelle strade.

In merito a questo, mi spieghi la copertina del disco?

La foto di copertina mi ritrae appoggiato al muro di un posto che mi è molto caro, la Biblioteca Abusiva Metropolitana BAM di Roma, dove la cultura e la lotta si incontrano. Nessuna delle scritte e delle firme su quel muro è casuale e, per chi ha voglia di approfondire, ci sono tutta una serie di messaggi e di spunti che si fondono col mio rap.

Tra l’altro, a BAM si può incontrare spesso uno dei miei pittori preferiti: Aladin Hussain Al Baraduni, uno straordinario artista yemenita che è dovuto fuggire dal suo Paese perché la presa di posizione contro l’ingiustizia e l’integralismo islamico gli è valsa una condanna a morte da parte di chi comanda. Ripeto: è un pittore, la sua forma di espressione non è la parola, eppure i suoi dipinti dedicati agli ultimi e agli emarginati urlavano troppo forte per poter essere ignorati. Andatevi a cercare la sua storia e capirete perché è una fonte di ispirazione straordinaria per me.

Copertina del disco di Kento. Lui spiega: “La copertina mi ritrae appoggiato al muro di un posto che mi è molto caro, la Biblioteca Abusiva Metropolitana BAM di Roma, dove la cultura e la lotta si incontrano.”

Kento, questo disco arriva dopo quattordici anni da Sacco o Vanzetti, uscito nel 2009 per Relief Records. Dal 2009 a oggi hai pubblicato dischi con Gli Inquilini, con i Kalafro Sound Power, i Voodoo Brothers e un mixtape. Come mai tutto questo tempo per un disco solista, il secondo?

Sono una persona estremamente inquieta e mi annoio facilmente. La cosa peggiore che mi potrebbe capitare sarebbe di accontentarmi, di fare dischi simili, di ridurmi ad essere la cover band di me stesso. Quindi, dopo ogni progetto – che sia un album, un libro, un podcast o un’altra delle cose a cui sto lavorando e di cui ancora non posso dirti – sento il bisogno di ricominciare da zero, di buttarmi in una nuova avventura, di rimettermi completamente in discussione.

È un grande privilegio di chi crea, e sinceramente non ho nessuna intenzione di privarmene. Dopo tanti anni dietro a progetti così diversi e disparati, sentivo il bisogno di riprendere le fila del discorso, di mettere tutto sotto il mio nome, di prendermi la responsabilità integrale non solo dei testi ma anche della scelta del sound. Sono sicuro che questa scelta scontenterà alcuni dei miei storici ascoltatori, ma se vi piaceva di più il vecchio Kento… beh, andatevi a risentire i vecchi dischi.

In Kombat Rap sfidi il presente e molti meccanismi malati della società. Se parliamo di musica, qual è il peggior nemico che abbiamo oggi?

La musica, come tutte le forme di arte e cultura, dovrebbe essere completamente libera e non ingabbiata dagli schemi economici e di controllo sociale propri della società sfrenatamente capitalistica nella quale viviamo. Ovviamente, oggi, quella di cui ti parlo è una prospettiva irrealizzabile, ma un artista dovrebbe seguire sempre la propria ispirazione e la propria visione senza essere incatenato alle vendite, ai follower, alle views.

Del resto sarebbe ingenuo pensare che un cambiamento del genere possa avvenire da un giorno all’altro e senza il coinvolgimento diretto degli ascoltatori, dell’opinione pubblica che, a conti fatti, costituisce il nostro datore di lavoro. E anche voi giornalisti e mezzi di informazione avete un ruolo importante: proprio stamattina parlavo con un grande quotidiano e mi sono lamentato del fatto che qualcuno scrive del rap solo quando c’è da commentare in senso negativo, per accostarlo a crimini o comportamenti stupidi. Forse alimentare la paura e l’ignoranza sociale fa vendere delle copie in più, ma è un atteggiamento indegno e, secondo me, svilisce la professionalità stessa di chi scrive.

Certo, perchè anche il giornalismo oggi è schiavo dei numeri. Un titolo in cui il rap viene accostato a un atto criminale, come hai detto tu, vende. Ad ogni modo, non voglio trasformare la tua intervista in un manifesto sulla deontologia professionale o mi radiano dall’albo. Torniamo a te … se parliamo di vita e società? Quale malattia hanno le persone?

La stessa che hanno sempre: la paura di un futuro incerto, che diventa paura del diverso, dell’estraneo, dello sconosciuto. I liberi a volte hanno paura del carcere e i carcerati, specialmente i ragazzi del minorile, a volte hanno paura della libertà perché gli sembra qualcosa di sconfinato e senza le regole, tristi ma rassicuranti perché sempre uguali, che hanno dietro le sbarre.

E oggi sento più che mai l’esigenza che sia la musica a creare strade dove non c’erano, ad abbattere idioti steccati fatti di pregiudizio. In tv ho sentito dire che è stato “il mare” a uccidere gli immigrati giù in Calabria… sarebbe quasi ridicolo se non fosse così tragico. Sono stati i confini e le politiche migratorie ad ammazzare quelle persone, e se né chi comanda né chi informa si prende la responsabilità di dirlo, forse allora tocca a noi artisti alzare la voce più forte e smascherare certe stronzate.

Prima ho nominato il tuo disco del 2009 e una serie di pubblicazioni insieme a varie formazioni. Alla luce di tutte le tue esperienze, ti senti di più un animale da branco o un solitario?

Mah, ultimamente mi trovo molto spesso ad essere da solo in mezzo ai riflettori, e questo mi sta facendo apprezzare ancora di più le situazioni dove posso permettermi di essere gregario e di assorbire spunti e ispirazioni da un gruppo. Parlo ad esempio dei miei fratelli e sorelle del collettivo poetico Spoken – Poesia e Rivoluzione, ma anche delle reti Rap Dentro e Keep It Real, che lavorano sulla funzione sociale del rap su tutto il territorio nazionale.

Mi sto godendo moltissimo le serate in cui posso fare da pubblico e, quando so che c’è il rischio che mi chiamino sul palco, quasi mi nascondo. Fai conto che, dalla fine della pandemia, sono sempre in giro tra concerti, presentazioni dei miei libri e laboratori, quindi nei giorni in cui mi trovo a casa non sto uscendo troppo la sera e – questa non è una bella cosa – sto finendo per trascurare un po’ di amici a cui voglio bene. Ma anche la penna e il foglio sono degli amici cari, e al loro richiamo non riesco mai a sottrarmi.

Foto ufficiale di Kento – Benedetta Pieri – 2023

In Kombat Rap c’è un concept sonoro molto particolare. Sicuro ci sono elementi classici, ma ci sono anche tantissime sperimentazioni che ti vedono fare rap su beat techno, trap, rock. Come sei arrivato a questo? Che percorso personale e di studio hai fatto negli anni? E come hai scelto i produttori del disco?

Di sicuro Kombat Rap è un disco presuntuoso che, come ti dicevo sopra, scontenterà qualcuno dei miei storici ascoltatori. La presunzione è data dal ritenere che il filo comune dell’album, ciò che lo tiene insieme stretto e coeso, sia la mia penna.

Quindi, dal punto di vista del suono, mi sono permesso di svariare su tutto ciò che mi diverte e mi interessa, senza pesare col bilancino: trovi appunto la techno, il rock, la trap insieme al boombap classico, e come featuring trovi Claver Gold, Righeira e Burru Banton, giusto per nominarne alcuni. Sinceramente a questo punto della mia carriera mi sento di non avere più niente da dimostrare, ma molto ancora da dire, e preferisco fare un disco che rompa i coglioni e magari non piaccia piuttosto che stare sul sentiero battuto. Sennò che facciamo musica a fare?

Il mio percorso negli ultimi anni è stato legato a doppio filo al tempo che ho passato in carcere con i miei laboratori di scrittura, e là ho imparato una cosa: si può essere liberi in carcere e si può essere carcerati da liberi, perché la libertà più importante è quella mentale. E se sei tu stesso ad importi delle gabbie e a chiudertici dentro, come puoi chiamarti artista?

Anche sulla selezione dei beat mi hanno aiutato molto i ragazzi detenuti: alcuni che ho scelto magari non li avrei inizialmente degnati di un secondo ascolto ma, sentendoli insieme ai ragazzi, mi sono venuti in mente degli spunti nuovi e particolari.

Bruce Lee diceva: “io non faccio esperienza, io sono esperienza”: ebbene, io non voglio fare Hip-Hop ma essere Hip-Hop, e la libertà espressiva totale è la strada che sento mi stia portando in quella direzione. Con un ringraziamento speciale ai ragazzacci carcerati.

Foto ufficiale di Kento – Benedetta Pieri – 2023

Cosa vuol dire, per te, fare militanza?

La militanza non è certo la mia, ma quella di chi si impegna ogni giorno nei territori, nelle scuole e università, nei luoghi di lavoro.

A queste persone non posso assolutamente paragonarmi, ma so che la musica ha un potere speciale: quello di ispirare e disegnare un mondo diverso e migliore. Forse non c’è musica senza rivoluzione, ma di sicuro non c’è rivoluzione senza musica. Ecco perché, quando sento le mie canzoni suonate forte alle manifestazioni, ho sempre un senso di orgoglio straordinario.

Hai mai pensato di smetterla col rap? E perché?

Dopo tanti anni il rap fa così tanto parte di me che mi è difficile perfino ipotizzare una risposta a questa domanda: non è una SCELTA, non è ciò che FACCIO, è ciò che SONO. Tu hai mai pensato di smettere di inspirare aria o smettere di avere caldo a luglio? E perché?

Scherzi a parte, anche se smettessi fisicamente di scrivere delle canzoni o di registrarle o di cantarle dal vivo, il tutto avrebbe un’importanza relativa perché comunque non smetterei di essere Hip-Hop. Il rap ha un valore strumentale, è semplicemente il veicolo di alcuni contenuti e idee, e quelle smetterò di averle solo quando sarò sdraiato su un tavolo di marmo, e forse nemmeno allora.

Selene Luna Grandi

Italian journalist, creative and public relator. I moved to London in 2015 after several years of experience as war correspondent for some Italian Newspapers. I write, promote and I'm involved in projects about Medicine, Health, Urban cultures, Environment.

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