Interviste

Numi: il successo è la libertà di poter essere un artista

Francesco, classe 1994, in arte Numi è un rapper romano che da qualche anno ha scelto di vivere a Milano, la metropoli europea che tutti amiamo|odiamo.

Numi non è un artista del tutto emergente, la sua gavetta l’ha fatta eccome, saltando da un live all’altro, pubblicando dischi e partecipando a molteplici battle di freestyle.
L’ho conosciuto qualche anno fa per caso. Lavoravo in un locale in centro a Milano, lui venne con degli amici. Una parola tira l’altra e scopro che fa rap da molti anni, chiaramente potete immaginare la mia curiosità! Iniziai ad ascoltare i suoi vecchi singoli su YouTube e pensai subito che sto ragazzo aveva quello stile massiccio che solo i romani possiedono.

A distanza di anni ci troviamo qui, quanto è piccolo il mondo. Sono felice di poter contribuire alla diffusione di un suo progetto. Fast Cheap Good (you can only have 2) è uscito il 12 Aprile scorso a
distanza di due anni dall’ultimo disco AUT|AUT. Il titolo riprende un motto statunitense utilizzato anche nel marketing: non è possibile ottimizzare tutti e tre gli elementi – tempo, costi e qualità – di fronte alle
scelte di tutti i giorni, bisogna sceglierne due. Partendo da questo slogan, Numi porta la sua realtà fatta di aspetti contraddittori e descritta da immagini, esperienze personali, riflessioni, tutte associabili a queste tre combinazioni: veloce ed economico; veloce e buono; economico e buono.
Numi mantiene una visione artistica determinata e brillante con un concept album basato sulla credibilità e sulle riflessioni maturate in un percorso alternativo. Rime intelligenti, immagini di strada, ma
soprattutto, canzoni adulte e di stile pienamente hip hop.
Leggetevi un po’ quello che ci siam detti. Peace.

La prima è solitamente la mia domanda di rito… Francesco, come stai?

In questo periodo bene, dai…
Sono appena tornato dal Giappone, viaggio che avevo organizzato insieme ad un amico che, dopo aver programmato tutto, purtroppo si è rotto il femore. Nonostante ciò ho deciso di partire comunque e di sfruttare l’occasione per fare il primo viaggio con mio padre… è stata un’esperienza molto particolare.

Le origini del tuo nome.
Numi è un nome che ha dei riferimenti mitologici, com’è nato?

Sin da piccolo sono rimasto folgorato da tutto quello che riguardava la cultura hip hop e le sue discipline, sopra tutte il rap.
Ho avuto anche una breve esperienza da breaker e soprattutto da writer. In quel periodo c’era una grande maggioranza di aka ‘’importati’’, anche con l’utilizzo di lettere americane come la K, moltissimi usavano l’H e tanti nomi, quindi, si somigliavano. A me serviva qualcosa di diverso.

Poi, leggendo, ho anche notato il risvolto mitologico che aveva acquisito questo nome e, una volta provata la tag in giro, vedevo che tutti iniziavano a chiamarmi così. Da allora è così.

Le tue prime esperienze legate al rap risalgono al 2011, l’anno successivo ti sei avvicinato al mondo del freestyle. Come hai capito che il rap era la tua strada?

Le prime esperienze legate al freestyle risalgono a quando ero un pischello, avevo iniziato quasi per gioco con gli amici. Iniziai a conoscere gente più grande che lo praticava seriamente, io li osservavo
e cercavo di prendere esempio da loro.
La prima battle la feci nel 2010, vincendola mi resi conto che alla gente piaceva il modo in cui tappavo.
Da quel momento iniziarono ad invitami alle battle di freestyle.
Nel 2011 inizio a pubblicare i primi pezzi, tra questi ce n’era uno con un testo un po’ più aggressivo con riferimento ad una vecchia storia d’amore finita male. Questo pezzo fece il giro della scuola e venne conosciuto, almeno nel mio quartiere, e dopo qualche pezzo da solista ho avuto il mio primo
gruppo, gli ‘’Old Skulls’’ con cui ho fatto due o tre mixtape. Come ogni gruppo, per vari litigi, si sciolse e continuai da solo.

Roma. Come vedevi la scena romana durante il periodo del tuo ingresso?
E come è stato farne parte?

Il mio ‘’ingresso’’ effettivo nella scena romana risale intorno al 2013/14. Prima calcavo i palchi dei centri sociali, gli unici locali ad ospitare serate rap a quei tempi.
I primi anni, ogni fine settimana, scroccavo passaggi ai miei amici, ma col tempo la cosa divenne insostenibile. Dopo aver preso la patente cercavo di raggiungere tutti gli eventi: contest di freestyle, di brani.
Inizialmente era strano, perché io venivo da fuori, ma poi ho creato dei legami con un sacco di gente, ho fatto un sacco di amicizie che poi divennero dei featuring. Ricordo ad esempio William Pascal e i ragazzi
del Do Your Thang, Yamba, Metal Carter, Gast, Gianni Bismark e i Santa Sangre.
Tanti artisti della scena underground con i quali ho rafforzato e cementificato i rapporti. Anche perché io, come dicevo prima, ero “quello che viene da fuori”. Per di più, non tutti i miei amici avevano questa passione per il rap, quindi mi capitava molto spesso di andare a serate da solo.

Laureato in lettere e un passato che, ascoltando alcuni pezzi,
sembra particolarmente burrascoso…

Del passato posso parlare con più tranquillità oggi, diciamo che grazie a Dio non ho mai avuto problemi con la legge.
E’ anche vero che ho rischiato parecchio e ho sfidato la sorte nel periodo tra i miei 17 anni fino ai 23-24.
La vita che facevo la si può cogliere dai riferimenti, più o meno espliciti, nei vari dischi. Oggi ne parlo con più naturalezza, ormai riguarda il passato.
Per quanto riguarda l’università, non riuscivo spesso a frequentare tutti i corsi. Studiavo il giusto per portare a casa la materia.
Non ho mai preso la lode, facevo quello che potevo.

E oggi? Oltre a fare musica sei riuscito a sfruttare la laurea in campo lavorativo?

Oggi lavoro, faccio il consulente da cinque anni e mezzo per un’azienda, quindi non lavoro nel campo di quello che ho studiato, però credo una persona possa avere la laurea senza doverla per forza sfruttare per lavorare. Io continuo a leggere per conto mio e approfondisco le cose che più mi piacciono; continuo a scrivere; faccio rap e allo stesso tempo lavoro per poter mangiare.

Nella Intro del nuovo disco racconti che davi anche ripetizioni…

Quello è riferito sempre al periodo in cui facevo questa tripla vita.
Da sempre io sono stato quello che faceva il rap e, crescendo, crescevano anche le persone intorno a me, tutti cercavano un posto nel mondo: c’era chi studiava per diventare qualcuno e chi prendeva una
strada pericolosa per diventare qualcos’altro.
Io per trovare il mio posto nel mondo facevo tutto quello che mi capitava: dal dare ripetizioni al figlio dell’amica di mia madre a tutto quello che riuscivo a fare per pagarmi il disco, le cene, i video, il
merchandising e i viaggi. Sono sempre riuscito ad affrontare tutte le spese da solo.

Passiamo a “Fast Cheap Good (you can only have 2)”, il tuo ultimo progetto. Parlaci un po’ del concept di questo disco.

Il concept riprende un po’ l’album precedente, è una sorta di sequel di Aut|Aut, su cui mi sento di aprire una breve parentesi. Il progetto si basa proprio sul binomio “questo o quello”; nei vari pezzi affronto la
riflessione sull’essere uno che lavora/uno che fa musica; uno che pensa ai soldi o un artista.
Nella mia vita c’è sempre stato questo binomio, anche il mio personaggio fatica ad arrivare in modo diretto, perché sono difficile da incastrare in un perimetro.
Quando mi presento e parlo del mio passato, molte cose riguardanti la mia vita possono stonare tra loro se le metti vicine.
Di conseguenza, in questo disco, volevo dare un quadro più chiaro possibile riguardo questo contrasto, questo essere controverso.
Già dalla copertina di Aut|Aut, infatti, si vede questa differenza. Puoi essere solo una cosa: o questo o quello; il ragazzo per bene che lavora o il ragazzo di strada; l’artista o il lavoratore.
Io invece voglio dire che posso essere entrambe le cose.

Sono d’accordo. Tutti pensiamo di dover scegliere un ruolo specifico, in realtà la bellezza dell’essere umano è proprio questa: può essere tutto e può essere qualsiasi cosa desideri.

E’ proprio questo il concetto che volevo trasmettere. In base al contesto, possiamo essere qualsiasi cosa.

Secondo questa teoria riguardante la scelta nasce Fast Cheap Good(you can only have 2). Se una cosa è veloce e buona non può essere economica, se una cosa è veloce ed economica non può essere buona,
se una cosa è buona ed economica non può essere veloce, quindi Fast Cheap Good ne può scegliere solamente due.
Fast Cheap Good è nato un po’ per gioco, è diventato un motto che ripetevamo tra amici. Ad esempio, lo utilizzavamo per definire la qualità di un ristorante dove eravamo stati a
mangiare: se buono, diventava il ristorante Fast Cheap Good. Quel film è Fast Cheap Good e così via…

Mi hai ricordato una puntata di How I Met Your Mother, la numero 17 della prima stagione. Qui Marshall lavora nell’ufficio di Barney, e si accorge che tra colleghi utilizzano un modo di dire per
distinguere una cosa figa, cool, da una non figa usando l’espressione ‘’salsa cocktail’’. La usano per dire che una cravatta è bella, che una battuta spacca… praticamente per tutto!

Non sono un grandissimo fan di questa serie, ma avevo già fatto un pezzo chiamato How i meet your mother Parte Uno nel 2021, in cui raccontavo scherzosamente l’incontro con una ragazza, creando uno
storytelling. Successivamente ho deciso di fare la seconda parte inserendola in Fast Cheap Good, in cui parlo a questo ipotetico figlio, spiegandogli come ho conosciuto questa ragazza, che poi è sua madre.
Ma io chiaramente non sono il padre, sono colui che usciva con sua madre prima del suo vero padre.

Ascoltando il disco, ho notato che nello scrivere molti versi sei stato parecchio fluido; una penna bella aggressiva con tante cose da dire e la giusta voglia di farlo. Ho percepito una scrittura dettata
da un flusso di coscienza che non ti portava a distinguere i vari pezzi, l’inizio e la fine; non ti impegnavi a “chiudere le rime”, ma piuttosto il tuo interesse era legato all’unico scopo di far uscire
fuori tutto quello che avevi in mente. Questa cosa mi ha incuriosita parecchio…

Assolutamente sì, a dire il vero, questo disco è stato molto più spontaneo rispetto agli altri, dove mi sono applicato di più sulla stesura dei testi. Qui, paradossalmente, ho lavorato molto di più sui beat, mentre in Aut|Aut è come se avessi già trovato la formula.

In questo disco ho voluto scrivere di getto. L’aggressività della penna, come dici tu, la si nota anche nella prima traccia, Numile, in cui mando a fare in culo tutto quello che abbraccia il finto perbenismo, la finta umiltà e il finto moralismo. Nel testo dico “ho fatto più soldi di uno spacciatore, quando facevo io lo spacciatore”. Mi sono rotto il cazzo di dover chiedere il permesso per quello che scrivo, che poi, per me, è tutto retaggio del vecchio hip-hop e del vecchio rap.
Nas, Biggie o Tupac mica stavano lì a farsi le pippe mentali su cosa scrivere o no! Anche il sentirsi dire ‘’eh ma sei sicuro di scrivere questo?
Non ti conviene’’…
Non devo fare il disco d’oro, né devo entrare in classifica, lo faccio per me e per chi mi ascolta, e basta.

Molti artisti tendono a falsare la propria storia.
Penso che non sia necessario avere per forza un passato vissuto in strada da rivendicare. C’è anche gente cresciuta senza necessariamente passare determinate dinamiche ma capace di
scrivere cose incredibili. Non serve per forza dire che sono stati in mezzo alla strada per attirare l’attenzione.

Ciò che è reale, funziona sempre.
Secondo la mia visione un artista, a prescindere dal rap, deve parlare di sé. Ti faccio un esempio: se ascolto qualcuno fare un pezzo sulla pace nel mondo, o sulla Meloni, ci sta, ma cosa ti rende diverso da un’altra persona che mi parla dello stesso argomento?
Come fai a parlarmi di pace o di povertà se non hai mai avuto effettivamente un’esperienza che renda quella realtà tua davvero?

Riconosco che ci sono davvero tantissime visioni e anche scelte
stilistiche differenti…

Personalmente preferisco i rappers che riescono a portare la propria esperienza personale nei testi. Che non vuol dire non prendere una posizione. Anzi. Cioè, gli artisti che secondo me hanno parlato di sé portando la propria storia, sono quelli che poi si sono consolidati nel tempo.
Marracash; Noyz; Guè che portando sé stesso nei testi riesce ad aggiungere mille spunti di riflessione con molti riferimenti.

Vorrei concentrarmi adesso sulla copertina. Molto bella l’illustrazione.

E’ una riproduzione cartoon di quello che è il mio quartiere, che si trova vicino al mare. Sulla destra si può vedere il pontile di Ostia Lido con il mare, al centro invece la zona residenziale, Infernetto, Casal Palocco,
Axa. Mentre a sinistra c’è Acilia, quindi la stazione, etc.
Tutto un po’ compresso per farlo entrare in un’unica immagine. E’ diviso in tre momenti: in alto vedi il drago sospeso in cielo che rappresenta la scelta, se noti fa il segno del 2, come ad indicare che si
possono esprimere solo due desideri. Il tema richiama un po’ Dragon Ball: quando Goku va dal drago Shenron può esaudire tre desideri, nel mio caso soltanto due.
Sulla sinistra invece la parte Fast-Cheap, dove ci sono autobus in fiamme, lattine, prostitute, il fumo dei palazzi in fiamme e il degrado.
Al centro la parte Fast-Good con macchine lussuose, alberelli e questa parte residenziale che confina con il degrado.
E si arriva alla parte Cheap-Good, sulla destra dell’immagine, dove possiamo notare della gente in bici, qualcuno che vende gelati sulla spiaggia e la gente più in chill.
Ogni cosa è divisa in tre concetti, come nella parte superiore della copertina: a sinistra del drago si trova Icaro, Fast-Cheap; un aereo, Fast-Good; un palloncino sorridente, Cheap-Good.
La copertina è stata disegnata da Fabio Scotti, un mio amico tatuatore.

Gli ospiti del disco. Parlaci dei featuring.

All’interno del disco ci sono due ragazzi del mio quartiere: il primo è Carusiello, caro amico dalle elementari, lo conosco dall’alba dei tempi.
Lui è come un fratello, non ha mai rappato e mi ha fatto questa sorpresa, un easter egg, creando uno storytelling fighissimo.
L’altro è Faccia D’angelo, un ragazzo del villaggio di San Giorgio, che è un quartiere popolare vicino al mio. E’ un ragazzo super-real, in gamba, che vive la strada tutti i giorni e che volevo con me nel disco.
Poi c’è Yamba, un amico, abbiamo sempre collaborato e fatto pezzi super fighi.
C’è anche Valos, una giovane scoperta del rap romano, che spero faccia la sua strada e abbia i suoi risultati perché è talentuosissimo.
Sicko Myers che ha fatto una super strofa sulla title-track del disco, e che secondo me è uno dei rapper più forti a Roma e dovrebbe avere maggiore visibilità anche nel resto d’Italia. Lui secondo me ha uno stile
tutto suo e ha degli incastri pazzi.
Nella traccia con lui, Fast Cheap Good, che reputo una delle più fighe del disco, c’è tutto un gioco di vocine che abbiamo voluto sperimentare; mi piace molto perché, se segui il testo cercando di comprendere il discorso, si può cogliere il messaggio “nascosto”.
C’è Pablo Limo alle produzioni, mio cugino di sangue, un giovane musicista. Suona batteria, piano, basso, chitarra. Produce anche pop- indie, molto talentuoso.
C’è anche Depha Beat (che adesso è tipo ‘’Platinum Producer’’, per i dischi di platino con Kid Yugi) che conosco da più di dieci anni e abbiamo già fatto due dischi interi, è un fratello.
Otalay che è un giovane produttore romano, anche lui talentuosissimo.
Il resto delle produzioni le ho curate io.

Adesso, invece? Progetti per spingere il disco? Eventi in
programma?

In realtà ho deciso di non fissare ancora una data per un live, sto dando del tempo alla gente per far conoscere e ascoltare il disco. E’ stato fatto con estrema naturalezza e spontaneità, quindi non ho voluto fare chissà che per promuoverlo, qualche intervista sì, ma senza cercare strategie
di marketing particolari. Se deve arrivare arriva, mi ha rotto ‘sta cosa di cercare strategie di marketing.
Ho già avuto un periodo con molto più “hype” di adesso, quando uscì il disco Falene, avevo un contratto con Thaurus Publishing.
Il mio disco precedente, Ostracismo, era uscito sempre per Thaurus e diciamo che in quel periodo ero in “bolla”.
Se avessi dedicato una parte alla sponsorizzazione del disco in quel periodo, guarda, sarei arrivato sicuramente ad un pubblico maggiore…
Ne sono passati tanti treni, credimi. Ho anche suonato in molti posti, come a Milano, al Legend Club, al Tempio del Futuro Perduto, al Barrio’a; in Sicilia, a Catania; a Firenze. Ricordo il periodo del 2017/18,
ho suonato dappertutto e quello che mi sento adesso è di aver consolidato un percorso, almeno per chi mi segue.
Per me il ‘’successo’’ sarebbe sicuramente vivere di musica, ma se dovessi fare musica per lavoro, mi piacerebbe come mi piace adesso o mi sentirei come “arrivato”?

A molti artisti capita che, una volta raggiunto il successo, iniziano a rilassarsi, come se non dovessero dimostrare più niente a nessuno. Questa cosa è un po’ il declino dell’artista. Per questo io supporto l’underground, perché c’è ancora quella voglia di riuscire, quella “cazzimma” che, a seconda dell’artista, chiaramente ha un fine diverso.

Ed è quello che viene fuori da questo disco. Io non ho più la voglia di “arrivare”. Il lavoro ce l’ho, i soldi per mangiare me li guadagno da sempre da solo. Preferirei fare tutto ciò con naturalezza.
Non faccio rap per seguire un trend, anzi, mi sento privilegiato, perché posso parlare di me, di quello che voglio io, fare rap bene, in maniera anche agonistica, confrontandomi con i big, ma in una chiave mia che
non si piega alle leggi di mercato. Magari mi smentiranno dicendo che ci sono anche artisti che riescono a fare completamente quello che vogliono pur stando nel mercato, ma quello che voglio io è fare le cose
spontaneamente.
Per me il successo è già questo: libertà di essere un artista.

Claudia La Disagiata

Claudia Sciacca Aka La Disagiata, nasce a Catania sotto una buonissima stella del Leone. Cresce grazie al buon cibo siculo che le donano bellezza e cultura. Figlia di due medici, si occupa fin da piccola dei problemi altrui, dedicandosi ai rapper della propria città come una psicologa, perché “stanno malissimoh“. Si laurea all’accademia di Belle Arti di Brera grazie alla formidabile venerazione per tutti i santi che cita durante le giornate più dure. Vive a Milano con molta fatica perché fa diversi lavori, ma sicuramente non ha un lavoro serio. Scrive per ritrovare l’orgoglio smarrito” come Mària de Il divano scomodo di Maccio Capatonda.

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