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LE COSE DA NON FARE SE DECIDI DI USARE UN BEAT DANCE PER UN PEZZO RAP

Che l’Italo Dance sia stato un successo planetario è un dato di fatto: lo dimostrano le classifiche dal 1992 al 1997, dominate da pezzi dance per lo più provenienti dalla penisola italica.

Il rap italiano, dopo l’infatuazione per l’autotune ha deciso di ripescare dal cilindro delle classifiche FIMI i pezzi dance più venduti di sempre.

La scelta sembra pagare e sono molti gli artisti che riconoscono un potenziale in questo “mash up” (ne abbiamo parlato QUI).

Proporre un nuovo arrangiamento o remixare un brano di successo è una scelta che molti artisti (di qualsiasi genere) hanno fatto e spesso, hanno saputo regalarci dei brani che hanno impreziosito ancora di più l’originale.

Remixare un pezzo infatti, può rappresentare un tributo che l’artista vuole fare all’ideatore (o molto spesso esecutore) del brano originale, inoltre riproporre una track 20 anni dopo significa anche far conoscere a nuove generazioni una perla musicale.

Ma c’è un appunto da fare: non basta prendere un pezzo, campionarne il “giro” in maniera sommaria, risuonarlo con un synth e buttarci sopra due barre senza flow per ottenere un successo.

Arrangiare un successo è un lavoro che si deve fare solo se si hanno gli strumenti e se si tratta il brano con il rispetto che merita, per quanto il reef possa sembrare “basic”.

Non c’è bisogno di stilare una guida su quello che NON bisogna fare perchè tutto quello che NON si deve fare quando si mette mano ad un brano altrui (specialmente se è un successo di livello planetario): lo ha fatto Shiva.

Giuro, non voglio parlare di trap su il Rappuso: potrebbe prendere fuoco la tastiera mentre scrivo e stanotte potrei sognare di essere picchiata da Dj Gruff!

Non voglio neanche “difendere” il pezzo degli Eiffel 65, che si difende benissimo da solo con l’originale, voglio solo chiarire ai più giovani e meno attempati come me che “Blue” suonava molto meglio su cassetta che su Spotify oggi con uno che dice “l’hai messa lì o l’hai messa là”.

Per cui, sparatevi l’originale che è meglio.

V

V nasce a Roma e sin da bambina, quando si divertiva a scratchare con gli inconsapevoli vinili di Mina acquistati in gioventù dalla madre, capisce che il suo scopo nella vita è conoscere quanti più suoni possibili (oltre a quello di essere bannata dalle pagine Facebook della Lega ovviamente). Influenzata dalla scena raver dei primi anni 2000 ama il suono della cassa a 4/4 avvolta da un sub sinusoidale. Manager e co-founder de “Il Rappuso”, attualmente lavora come producer e dj.

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