Interviste

Intervista a *Simonebbello

Ho scelto di fare della mia passione un lavoro a tutti gli effetti; secondo la mia logica estremamente personale, scelgo sempre di intervistare gli artisti che per un motivo o per un altro catturano la mia attenzione, soprattutto dal punto di vista umano. Il mondo è pieno di bellissime penne, di artisti che lavorano tanto per crearsi un’immagine, ma Simone Bello ha scelto di evolversi verso la versione più reale di se stesso: da Spike B è diventato *Simonebbello.

E’ un ragazzo di Brindisi, alla soglia dei 30 anni che lotta ogni giorno per creare la sua musica nonostante le innumerevoli priorità che la vita ci impone. Le sue canzoni sono senza filtri e non nascondono fantomatici personaggi che inscenano degli episodi, tendenza ormai troppo diffusa nel rap game. Durante la nostra chiacchierata telefonica mi sono resa conto di quanto siamo simili, in fondo: viviamo di insicurezze che ci portano a fare delle scelte, per il bene nostro e per il bene di chi amiamo, l’egoismo non ci appartiene; siamo sempre in competizione con noi stessi, ma senza chiedere niente a nessuno né pretendendo qualcosa dagli altri. Siamo frutto delle nostre azioni, delle nostre scelte e dei nostri fallimenti. Non sono solita fare dei complimenti gratuiti, in questo caso li faccio sul serio a Simone, augurandogli di ricevere il successo che si merita.
Vi invito a leggere ciò che ci siamo detti per conoscere meglio questo rapper/cantautore.
Vi consiglio, inoltre, di ascoltare i suoi vecchi progetti e i suoi nuovi singoli! Li trovate su Spotify.
Buona lettura.


Ciao Simone, come stai?

Ma guarda, tutto bene. Sono contento sotto vari fronti: a lavoro tutto apposto, nella vita privata
tutto apposto, la musica sta andando relativamente bene?
Non lo so… però si, sta andando. Quindi, fondamentalmente, bene ti direi!

Vieni considerato un’emergente, ma in realtà sin da giovanissimo hai iniziato a scrivere grazie alla tua passione per la scrittura, ufficialmente hai iniziato a fare musica nel 2014 con l’uscita del tuo concept album: Requiem.

Si, con un altro aka. Ho fatto anche un disco in coppia con un mio amico, Marco Killah, che fa parte della mia stessa crew. Un album uscito nel 2016

Com’è che hai deciso di iniziare a fare rap? Qual è stato il tuo imprinting iniziale?

A 10 anni/12 anni mi regalarono un disco con Mister Simpatia sopra, conteneva altre tracce di gente del mio paese che ha iniziato a fare rap. Questa cosa mi è iniziata a piacere, successivamente ho scritto qualcosa, poi ho lasciato perdere. Scrivevo solo per me, fino a quando ho iniziato a registrare, grazie a Vinnie Brown, il producer, che supervisiona tutto quello che facciamo. A 18 anni mi hanno portato in studio e mi hanno detto “registra” e da allora ho registrato le cose che avevo scritto e ho iniziato a fare rap ufficialmente.

Fai parte del collettivo pugliese Dirty Brown Records, chi ne fa parte ?

Ad oggi siamo rimasti relativamente in pochi. Siamo cresciuti, abbiamo preso strade diverse. Oggi ufficialmente siamo. Io, Marco, Vinnie, Nico Melacca (NM Beats), colui che crea tutti i beat delle nuove uscite, soprattutto. Siamo cresciuti e molti hanno mollato. Senza nessuno dietro che ci seguisse, soprattutto da emergente è tutto più difficile: devi curarti le grafiche, pensare a come fare uscire la roba, stare dietro ai social…
Oggi è un lavoro tutto quello che gira attorno alla musica; forse fare la musica in sé è la cosa più
semplice: vai in studio con il beat pronto, registi ed è fatta!
Tutto quello che c’è dietro è impegnativo, devi avere delle skills in ogni cosa e poi crescendo il tempo è sempre di meno e stare dietro a tutto è veramente complicato. Prima era diverso, ci sbattevamo un sacco per organizzare i live: abbiamo suonato due volte a Milano, poi a Roma. Partivamo in macchina dopo una giornata di lavoro, suonavamo e tornavamo di notte… un casino, ma eravamo più giovani. Farlo oggi, quasi a trent’anni, è difficile.

Dal pezzo Clark Kent uscito quest’anno hai deciso di annunciare il cambiamento da Spike B,
nome che ti ha fatto conoscere dalla scena rap pugliese e non, per passare al tuo nome e
cognome reale, ovvero, Simone bello, ma con l’aggiunga di una B e un asterisco all’inizio. Come
mai hai deciso di non creare un aka come tutti?

Perché ho sempre scritto roba vera. Le ultime robe che sono uscite erano molto parafrasate, mettiamola così, nei due D.E.M (Deus Ex Machina vol.I e vol.II) precedenti c’era un viaggio particolare…

Li ho ascoltati e mi sono piaciuti molto, era un rap molto old school, e ora ho visto che sei passato al vero e proprio cantautorato.

Tutto questo è frutto, o vittima, della crescita. Alla fine ho fatto i conti con me stesso: a fare la
“spocchia” con un determinato tipo di rap, con un determinato tipo di background c’è un mare di
gente forte. Io sono meglio di loro? Probabilmente, a fare quel tipo di rap, no. Dovevo trovare la
mia strada e fare il mio. Quello che sto facendo oggi, con tutta modestia, mi viene relativamente
bene. Io a quasi trent’anni , non avendo avuto riscontri con il mio vecchio modo di fare rap, ho
pensato di non avere quella credibilità che mi fa dire “ sono forte”. Ascolto ancora i miei brani
scritti in passato, ma preferisco dedicarmi al quel tipo di rap un po’ conscious, riesco ad
esprimermi meglio in questo modo.

Spike B verrà dimenticato per sempre o potrebbe ritornare?

Ormai scrivere quella “roba là” mi annoia, non mi stimola più. Mi gasa molto ascoltarla, ma a farla
mi passa la voglia. Non ho più l’ispirazione.

Tornando un po’ indietro nel tempo, fino a qualche anno fa il tuo marchio identitario era il tema della morte per esorcizzarla, ma che poi finiva sempre con dei riferimenti alla bellezza della vita che dona senso al tutto. Che rapporto avevi con la morte o hai? Perché oggi per Simone è un concetto molto lontano?

Io con la morte ho avuto sempre un rapporto molto particolare, ti faccio un esempio: se dovessi morire domani con la convinzione di aver fatto quello che mi ero prefissato o di aver fatto il massimo che potevo, posso morire tranquillo.
Mi dispiacerebbe morire domani con un disco che ancora deve uscire o qualsiasi altro progetto in ballo lasciato incompleto, ma nonostante ciò la morte non mi ha mai spaventato. In Nuove Nike racconto un fatto vero e dico “mi sono visto morire più volte senza fare nulla come Walter ha fatto con Jane” che è puramente una citazione su Braking Bad che spiega bene il mio concetto. Infatti ho passato un periodo nel quale mi vedevo morire realmente, davanti ai miei occhi, come se fossi in un film; faccio una premessa, non mi drogo! (ride, n.r.d.) Era un periodo un po’ buio, vivevo questa sensazione strana, quindi ho un rapporto molto strano, e lo ripeto, non mi fa paura.
Mi fa paura più vivere male e sprecare il tempo a disposizione piuttosto che morire.

Altalena è uscito il 21 aprile e parlava delle difficoltà nella vita di una persona che decide di fare
musica. Oscillando come un pendolo tra gioia e dolore come diceva Schopenhauer; tra salute
mentale, ansia dolore e noia. E nel brano dici “io credo che non bisogna soffermarsi sulle
oscillazioni tra un momento e l’altro, ma godersi la corsa che si compie, tra alti e bassi, tra il su e
il giù, prendendone il ritmo proprio come quando si sta su un’altalena”. Secondo te, come
bisognerebbe godersi il qui e ora? Senza far camminare troppo il cervello?

Io sono la persona più sbagliata nel dare consigli su questo. (ride, n.d.r.)
Ho sempre la testa da un’altra parte: lavoro e penso a scrivere; per non sprecare il tempo cerco di ottimizzarlo nel miglior modo possibile. Quella traccia l’ho scritta proprio per convincere me stesso! (ride, n.d.r.)
Faccio un tipo di musica molto personale; non credo di essere molto bravo o la persona giusta che può permettersi di scrivere “per gli altri”. Mi colpevolizzo molto, ma lo faccio per spronarmi. Se un mio D.E.M. non è arrivato al punto che volevo è stato solo per colpa mia, perché non sono stato capace di farlo arrivare alla gente e di sponsorizzarlo. Non do la colpa agli altri. Credo di essermi impegnato molto poco: in percentuale, un 20%, il restante 80% me lo sono perso.

Io non credo sia vero, faccio interviste solo agli artisti che reputo bravi o interessanti. Se ti sto intervistando c’è un motivo. Non ti conoscevo e ho apprezzato molto il tuo background ed oggi
le tue nuove canzoni.

IO faccio musica non per fare soldi, perché un lavoro ce l’ho già (dicevo in un pezzo vecchio), io lo faccio per motivare la gente attorno a me in modo tale da spingermi a fare sempre di più. Se ho un riscontro da parte loro vado in studio e cerco di registrare molti più pezzi, proprio a livello quantitativo. Rinuncerei ad altro per dedicarmi di più alla musica: andrei in studio più volte a settimana, avrebbe tutto un senso diverso, decisamente.

Che lavoro fai nella vita?

Sono un Operaio Metalmeccanico.

Immagino che il tempo sia poco, ma tanti artisti fanno diversi lavori per sopravvivere. Con Nuove Nike ritorna la collaborazione con Marco Killah (dopo il Joint album $hitmakers). Tra l’altro credo ci sia un riferimento al pezzo dei Club Dogo…

No è stato casuale, conosco la traccia dei Club Dogo, ma non ci abbiamo fatto caso più di tanto.

Questo pezzo ha delle sonorità che cullano un po’, molto rilassante. Infatti tende ad essere un pezzo molto leggero, ma nonostante ciò nasconde un po’ di malinconia o tristezza: “CI HANNO INSEGNATO CHE QUI IL CIELO È L’UNICO LIMITE DA SUPERARE MA NON CI HANNO DETTO COME FARE”
E nella spiegazione del brano dici:
“In un mondo che va sempre così veloce, credo che non bisogni sempre correre verso un obiettivo. Ogni tanto bisogna prendersi una pausa. E forse non porsi nemmeno troppi obiettivi per poi restare delusi se non li si riesce a raggiungere. A volte ciò che conta è semplicemente correre e farlo col proprio ritmo”. Riguardo a questo, è un concetto che condivido, ma qui entra il fattore tempo. Ognuno di noi si pone degli obiettivi da raggiungere in un determinato tempo prestabilito, metti l’età o altro. Che rapporto hai col tempo e che consiglio vorresti dare alla gente che molla tutto per paura di non riuscire nei propri scopi?

Dal mio punto di vista mi sono prefissato un obiettivo che ho imparato negli anni ed è prettamente legato alla musica, ovvero, mi sono detto: “non devi avere un obiettivo o delle aspettative”. Non guardo gli stream, faccio musica perché mi fa stare bene. Mi serve per staccare dalla quotidianità, dal lavoro. La musica mi dà una motivazione per stare al mondo. Non ho delle grosse pretese, mi piace l’inaspettato, come per esempio questa intervista. Se domani pubblico un pezzo e non piace a nessuno, mi importa veramente poco, so che l’ho fatto per me stesso, per stare bene.

Quindi se ti facessi una domanda alla Bonolis, del tipo: qual è per te il senso della vita, cosa mi
risponderesti?

Ah, no… non lo so. Vivere al meglio e morire al più presto. (ride, n.r.d.) Riuscire a vivere nel miglior modo possibile e poi levarsi dal cazzo.

Mi piace questo estremo realismo.

Mi rendo conto che quando mi costringo a fare le cose peggioro tutto inevitabilmente. Se mi sforzo a scrivere e il risultato non mi piace, finisce sempre che mi innervosisco e mi rovino la giornata. Quindi, se non lo facessi sarebbe meglio. Se non mi sento ispirato non scrivo, mi vivo la giornata in maniera diversa. Magari mi dedico ad un film o ad una serie Tv, magari ne traggo ispirazione. Mi ispira spesso la vita vera; sono un gran frequentatore di bar, ma solo perché mi piace parlare con la gente, mi porta a ragionare sulle cose e di conseguenza quello mi può servire per scrivere qualcosa di nuovo. Anche questo per me è Fare, piuttosto che stare chiuso in casa mi vivo la vita e ciò che ne consegue da un incontro casuale o altro. Non bisogna esser vittima del tempo, non devo rincorrerlo, magari quel perdere tempo mi frutta qualcosa.

Siamo molto simili sotto questo punto di vista.

Noi gente del Sud siamo un po’ vittime di questi preconcetti. Gli altri fanno il loro percorso: si sposano, fanno figli entro tot anni. Noi siamo la generazione di transizione, ne risentiamo se non facciamo tutto quello che è “giusto” per la società. Ognuno ha le proprie ambizioni, nate dal proprio vissuto.

Qual è il tuo sogno al momento?

Sai che è una domanda che non mi pongo? Ho smesso di avere, come ti dicevo prima, degli obiettivi. Forse il mio sogno è quello di stare bene, una risposta un po’ da poeta maledetto; magari cerco di dare il massimo nel lavoro o nella musica e ciò che arriva prendo. Non voglio avere un’ambizione che mi logora dentro, non voglio rimanere deluso. Quello a cui ambisci arriverà, secondo me, quando meno te lo aspetti e forse te lo godi di più. Ho imparato a non godermi il momento, penso già alla prossima mossa, sempre per non rimanere deluso.
A me piacciono molto i miei pezzi, li faccio uscire, ma una volta pubblicati non li ascolto più, così
da non volerli cambiare.

Quindi non hai una concezione del futuro?

Non mi preoccupo del futuro, tutto quello che arriva è inaspettato e va bene così.
Sto sempre a programmare qualcosa, ma cambio sempre direzione. Ho mille singoli pronti perché ho in mente di far uscire un disco. Voglio prima sondare il terreno, capire il feedback dell’ascoltatore. Ho un Ep pronto e dei singoli che non so quando pubblicarli, purtroppo non dipende solo da me, fare musica, da adulti, ti fa dipendere dagli altri. In Nuove Nike dico: “Ho visto le volte che mi hai urlato coi sentimenti solo nelle canzoni”, in realtà e una cosa che mi ha detto la mia ragazza, perché non sono bravo ad esprimermi a parole, a differenza di quando scrivo, quindi litighiamo e magari le cose che non le dico le ritrovo nei testi che faccio. A scrivere mi viene meglio, quando parliamo o litighiamo non riesco ad esprimere ciò che penso.

Facciamo una scommessa, secondo me riuscirai a far uscire il disco entro quest’anno!

Ok. A Ottobre faccio uscire l’Ep, Spero!

Claudia La Disagiata

Claudia Sciacca Aka La Disagiata, nasce a Catania sotto una buonissima stella del Leone. Cresce grazie al buon cibo siculo che le donano bellezza e cultura. Figlia di due medici, si occupa fin da piccola dei problemi altrui, dedicandosi ai rapper della propria città come una psicologa, perché “stanno malissimoh“. Si laurea all’accademia di Belle Arti di Brera grazie alla formidabile venerazione per tutti i santi che cita durante le giornate più dure. Vive a Milano con molta fatica perché fa diversi lavori, ma sicuramente non ha un lavoro serio. Scrive per ritrovare l’orgoglio smarrito” come Mària de Il divano scomodo di Maccio Capatonda.

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